“Vi assicuro che ogni giorno che passerà, a partire dal 10 dicembre (giorno in cui è avvenuto il giuramento di Mauricio Macri come Presidente, ndr), le cose andranno un po’ meglio e questo ci dona forza, entusiasmo e passione”.

Con questo tipo di narrazione politica Mauricio Macri ha sedotto il popolo argentino durante la campagna elettorale che lo ha portato, sul finire dello scorso anno, ad essere eletto come il primo Presidente del Paese non appartenente né a partiti di matrice peronista né all’Unión Cívica Radical (UCR), partito di centro-sinistra d’ispirazione radical-liberale.

Sono trascorsi poco più di sette mesi da quelle elezioni ma la tanto decantata “rivoluzione dell’allegria”, la promessa di pobreza cero e di un impegno forte per migliorare il livello di democrazia e dei diritti nel Paese sembrano già essersi sgonfiate, lasciando il passo ad un cambio di strategia comunicativa abbastanza evidente: “Ci troviamo in un momento di transizione molto difficile. Siamo costretti a far fronte alla corruzione e alla cattiva gestione ereditate: per riuscirci, abbiamo dovuto e dovremo prendere decisioni difficili e dolorose ma inevitabili”.

In effetti l’annunciato cambiamento ancora non si è visto e la politica economica del governo dell’ex Presidente del Boca Juniors (storica società polisportiva argentina con sede a Buenos Aires), si è caratterizzata per una serie di misure che non sembrano andare incontro alle esigenze delle fasce meno abbienti della popolazione.

Fra queste, la forte svalutazione del peso argentino nei confronti del dollaro che si è tradotta in aumento generalizzato del livello dei prezzi (nei primi 6 mesi dell’anno l’inflazione argentina ha raggiunto il 26,7% e rischia di balzare al 43,6% a fine 2016), oltre 30.000 licenziamenti nella PA ed il taglio dei finanziamenti alle associazioni che difendono i diritti umani.

Non è casuale che l’indice di povertà sia salito al 34,5% rispetto al 29% registrato nell’ultimo trimestre del 2016 e che, a trarre maggiore beneficio dalle misure adottate dall’inquilino della Casa Rosada, siano state soprattutto le classi agiate della popolazione argentina.

La svalutazione del peso ha infatti avuto un effetto benefico specialmente per tutti quegli esponenti del tessuto imprenditoriale argentino che, esportando i loro prodotti, ricevono pagamenti in dollari ed hanno usufruito inoltre di un consistente abbassamento delle tasse sull’export di grano e dei prodotti minerari.

L’esecutivo argentino, per attrarre investimenti esteri nel Paese, ha ideato il Simi, un sistema che rende più snelle le procedure di import/export grazie all’introduzione delle cosiddette licenze automatiche (valide solo per alcune categorie merceologiche) che vengono rilasciate in massimo 72 ore. L’altra faccia della medaglia tuttavia riguarda i dazi doganali che rimangono ancora molto alti per il timore che un’eccessiva liberalizzazione possa affossare le produzioni nazionali.

Nonostante talune criticità va detto che le origini italiane di Macri potrebbero rivelarsi una fiche preziosa per il Sistema Paese Italia al fine di cogliere e mettere a frutto tutte le occasioni di business provenienti dal Paese sudamericano. Questa opportunità sembra assolutamente chiara al premier Matteo Renzi che, recatosi lo scorso febbraio in visita a Buenos Aires (l’ultimo era stato Prodi nel lontano 1998), ha voluto sottolineare la special relationship italo-argentina: “Non siamo semplicemente partner, ma nazioni sorelle, insieme possiamo fare molto”.

La replica al miele del fondatore del partito “Impegno per il Cambiamento” non si è fatta attendere: “Mio nonno è arrivato qui in Argentina dal sud dell’Italia, da Polistena, noi vogliamo spalancare le porte dell’Argentina perché nuovi italiani arrivino qui e creino nuove occasioni”.
Macri ha poi aggiunto: “Non so se ci sia un altro Paese con cui abbiamo dei legami così stretti affettivi, culturali. E’ difficile trovare un argentino che non abbia un bisnonno, un nonno, un padre di origini italiane”.

Purtroppo va detto che alcuni fra i principali prodotti esportati dal Belpaese (tessile-abbigliamento, automotive, siderurgia e giocattoli) non rientrano in quelle categorie per le quali sono valide le licenze automatiche che agevolano i processi di import/export ma nonostante ciò, secondo SACE, il nostro export (attualmente pari a poco più di 1 miliardo di euro) potrebbe incrementare di circa il 30% entro il 2019 proprio grazie alle riforme economiche avviate dal nuovo governo.

“Ogni giorno diventiamo migliori. Siamo sulla buona strada. Alla fine di quest’anno ritroveremo la crescita”, l’ottimismo di Macri appare sempre più slegato da un confronto con la realtà del Paese e per questo sarebbe bene che qualcuno ricordasse al Presidente che per “approfittare della globalizzazione e non temerla” e più in generale, per cambiare in profondità la struttura economica uno Stato, qualsiasi esecutivo ha bisogno di un certo sostegno popolare.

In questo senso gli ultimi sondaggi parlano di un livello di fiducia crollato già del 10% nei primi mesi di governo, di certo non il miglior viatico per realizzare quella revolución de la alegría a cui i cittadini argentini sembrano credere sempre meno.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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