L’Europa si risveglia con le ossa rotte dalla notte dell’atteso referendum sulla “Brexit”: il 51,9% dei cittadini britannici si è infatti pronunciato a favore dell’uscita della Gran Bretagna dalla UE. Il tanto temuto giudizio del popolo british si è abbattuto come un ciclone sulle piazze finanziarie europee ed internazionali che solo ieri avevano salutato con euforia gli ultimi sondaggi che vedevano, seppur lievemente, ancora in vantaggio il fronte “Remain”.

A nulla è dunque servita la vocazione europeista dei cittadini delle città più grandi (a Londra, nel municipio della City, si è arrivati addirittura al 75% dei consensi pro permanenza) perché il voto di massa della parte centro-settentrionale dell’isola è stato nettamente sbilanciato in favore dell’uscita.

La Gran Bretagna è dunque ufficialmente fuori dal progetto comunitario e, che non ci sia alcun margine di ripensamento, lo si capisce dalle parole pronunciate questa mattina dal Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk che, nonostante abbia tentato di mandare un messaggio di speranza e di fiducia a tutti i cittadini europei, ha detto chiaramente che oggi l’Unione ha ufficialmente perso un suo membro: “Voglio rassicurare tutti. Siamo preparati anche per questo scenario negativo. La Ue non è un progetto solo per i tempi buoni. Oggi, a nome dei ventisette leader, affermo che siamo determinati a garantire l’unione come ventisette”.

Ventisette, appunto. I ragionamenti ed i calcoli post referendum già escludono il Regno Unito dai piani futuri di un’Europa che oggi appare sull’orlo di una crisi d’identità. Ventisette anche perché l’esito delle urne ha portato il premier conservatore David Cameron ad annunciare le proprie dimissioni che saranno effettive entro ottobre 2016 spiegando poi che si appellerà all’articolo 50 del Trattato di Lisbona, che darebbe a Londra due anni per negoziare i termini della propria uscita dall’Unione.

Infine, il leader dei tories ha auspicato il ricorso ad elezioni anticipate affinché siano i cittadini a scegliere un nuovo prime minister che si occupi di trattare i delicati termini di un accordo necessario per che regolare i rapporti UE-Gran Bretagna post Brexit.

Il terremoto politico, economico e finanziario è già deflagrato in tutta la sua forza ma durata ed intensità dipenderanno dalla capacità dei leader europei di “tenere dritta la barra” di fronte all’esaltazione e alle spinte centrifughe dei vari partiti anti-europeisti sparsi nei Paesi membri che già promettono battaglia per indire anche loro un referendum in materia.

Ad ogni modo la domanda a cui oggi tutti stanno cercando di dare una risposta è una: quali saranno le conseguenze della Brexit per l’Europa? Difficile dirlo, quel che è certo è che da oggi nessuna possibilità può essere esclusa a priori.

Il timore più grande degli europeisti è che si apra un processo di emulazione politica che nel giro di qualche tempo possa infliggere una ferita mortale all’esistenza stessa di un’Unione economica e politica nel “Vecchio Continente”.

L’Europa adesso deve affrontare un vero e proprio esame di maturità e sarà importantissimo che riesca a compattarsi per superare un momento così drammatico. La compattezza dovrà riguardare anche i nuovi accordi commerciali da stipulare con la Gran Bretagna che, per costituire un valido deterrente alle aspirazioni antieuropee di altri Paesi, non potranno essere troppo “morbidi” ed anzi dovranno far pesare economicamente l’uscita del Paese dal progetto comunitario. Ma gli europeisti dovranno essere uniti specialmente per quel che riguarda la visione e lo sguardo sull’avvenire dell’Unione: il rischio è che Paesi cardine come Francia e Germania possano decidere di rallentare o addirittura accantonare l’idea di un’Europa federale.

Si rischia in buona sostanza che la Brexit comporti un “congelamento” del progetto europeo che in mancanza di significativi progressi potrebbe addirittura, nel medio periodo, imboccare il viale del tramonto.

Per quanto riguarda le conseguenze della Brexit sull’Italia queste sono ancora tutte da valutare perché, nonostante l’interscambio di beni e servizi Italia-Regno Unito non sia particolarmente significativo (vale circa il 3% del PIL), le conseguenze finanziarie dovrebbero esserlo eccome.

In effetti, data la nota debolezza strutturale delle finanze italiane, è assai probabile che nelle prossime settimane e nei prossimi mesi tornino a soffiare forte le correnti speculative che già ci fecero tremare nella drammatica estate del 2011.

Lo spread BTP-BUND dovrebbe tornare a crescere rapidamente e con esso gli interessi sul debito pubblico, quindi si farebbe concreto il rischio di vedere erosi quei piccoli margini che negli ultimi anni l’Italia era lentamente riuscita a guadagnarsi per portare avanti delle politiche fiscali di tipo espansivo.

Per quanto riguarda il commercio estero SACE quantifica il danno economico per il Made in Italy per il 2017 in una forbice fra i 600 milioni ed i 1,7 miliardi di euro.
L’impatto immediato dovrebbe però essere abbastanza limitato visto che la legge europea prevede fino a due anni di tempo per firmare l’accordo di uscita.

E’ evidente come le questioni sul tavolo siano assai complesse e per questo motivo solo il tempo ed analisi più approfondite riveleranno l’effettiva portata di quello che può essere definito un evento storico.
Infine va segnalata la posizione dell’Italia sull’Europa e sul suo futuro ben riassunta nel commento a caldo del premier Renzi: “Dobbiamo cambiarla per renderla più umana e più giusta. Ma l’Europa è la nostra casa, è il nostro futuro”.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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