Quasi 68 milioni di abitanti, circa 400 miliardi di dollari di ricchezza prodotta nel 2015 (+2,8% sul 2014) ed un PIL pro capite medio pari a $ 16.100. Sarebbe sufficiente citare questi tre dati per accendere la luce dei riflettori sul mercato thailandese che però secondo una importante istituzione come la Banca Mondiale non sta vivendo una fase brillante a causa di un mix di fattori negativi: restrizione del consumo interno, alto livello di indebitamento delle famiglie e frenata dell’export.
Alcuni osservatori internazionali ritengono però che il problema principale sia l’incapacità della Giunta militare guidata da Prayuth Chan-Ocha – insediatosi al governo nel maggio 2014 con un colpo di Stato che ha messo in stand-by una lunga stagione di durissima lotta politica – di predisporre un piano di sviluppo adeguato alle esigenze del Paese.
A spaventare gli investitori esteri sono soprattutto la mancanza di competenze ed expertise della Giunta e ciò ha provocato un progressivo e significativo calo nell’afflusso di capitali d’investimento, risorsa essenziale per l’accelerazione nello sviluppo del Paese.
I militari promettono nuove elezioni entro la fine del 2017 ed hanno redatto una discussa bozza costituzionale (se approvata la 20esima negli ultimi 84 anni) che dovrà poi essere ratificata dai cittadini attraverso un referendum popolare il prossimo 7 agosto.
In realtà però il passaggio dal governo militare ad una democrazia vera sembra una chimera perché la riforma indebolirebbe le istituzioni democratiche assegnando ai militari enormi poteri. Comunque l’esito della consultazione, nonostante la campagna repressiva messa in campo dai militari, non è affatto scontato e dunque il futuro del Paese appare difficile da decifrare.
L’avviamento di un processo di normalizzazione politica, che purtroppo risulta ancora complicato da intravedere all’orizzonte, consentirebbe alla Thailandia di “liberare” tutte le proprie energie ed indirizzarle verso uno sviluppo più rapido e solido.
La straordinaria posizione geografica del Paese unita ad infrastrutture di ottimo livello sono due elementi che, se supportati da stabilità e lungimiranza politica, possono portare in tempi rapidissimi ad una incredibile valorizzazione della Thailandia che potrebbe facilmente trasformarsi nel principale hub per fare business di tutta l’area ASEAN.
La costante attenzione alla modernizzazione delle infrastrutture nazionali è dimostrata dallo stanziamento, per il 2016, di circa 40 miliardi di Euro per 12 grandi iniziative infrastrutturali (soprattutto ferrovie e autostrade) e di altri 2 miliardi per alcuni progetti che riguardano la gestione delle acque. L’obiettivo è quello di far crescere gli investimenti pubblici in modo da compensare le incertezze degli investitori che dovrebbero produrre un ulteriore deflusso di capitali esteri dal Paese.
Va detto comunque che l’economia thailandese è trainata in particolar modo dall’aumento dei consumi interni e da una middle-class in costante crescita e che pian piano sta incrementando il proprio potere d’acquisto. In effetti le importazioni di beni di consumo in Thailandia hanno fatto registrare una crescita continua nell’ultimo decennio specialmente grazie alla nuova borghesia di Bangkok che dispone di redditi ampiamente superiori rispetto alla media nazionale.
Questo è sicuramente un dato positivo per i prodotti del Made in Italy ed in particolare per quei beni di consumo che ci rendono celebri e riconoscibili in giro per il mondo vale a dire agroalimentare, moda, arredo e design.
Le istituzioni thailandesi, nonostante adottino una politica economica di stampo protezionistico dagli elevati dazi e volta a favorire il tessuto produttivo ed imprenditoriale interno, negli ultimi anni si sono rese conto di quanto sia importante incoraggiare politiche mirate all’attrazione degli investimenti.
L’Italia ha dimostrato e continua a dimostrare il suo interesse verso il Paese, anche a prescindere dalle evoluzioni politiche in atto, dato che già circa 500 aziende tricolori operano a Bangkok e dintorni. Sono principalmente PMI che svolgono attività commerciale attraverso joint ventures con partner locali o con uffici propri di rappresentanza.
In più lo scorso 26 maggio si è tenuto a Koh Samet il Business Forum Italy-Thailand, ottima occasione per mettere in contatto aziende molto importanti ed in grado, a livello aggregato, di produrre oltre 300 miliardi di dollari di fatturato. Il potenziale inespresso nei rapporti bilaterali (gli ultimi dati parlano di un interscambio annuo di circa 4 miliardi di euro) è elevato ed oggi fra i settori più interessanti in cui investire segnaliamo quelli ad alto contenuto tecnologico, energie alternative, biotecnologie, meccatronica ed automotive.
Va però sottolineato che il settore più promettente nei rapporti bilaterali fra i due Paesi sembra confermarsi l’agroalimentare tanto che circa 25 aziende italiane hanno partecipato a Thaifex World of Food Asia 2016, la rassegna di settore leader del Sud Est asiatico.
Infine si ricorda che prima di decidere di fare business in Thailandia è bene tenere sotto controllo la legislazione che è in continuo movimento ed evoluzione. Il punto di riferimento per i vari regolamenti continua ad essere il Foreign Business Act, che fornisce indicazioni su ciò che significa e comporta essere una società straniera in Thailandia e su quali aree continuano a richiedere la presenza di un partner tailandese come azionista di maggioranza.
Per rimanere sempre aggiornati in materia si consiglia di consultare questo sito.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it
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