La Repubblica di Panama è da poco balzata alle luci della cronaca internazionale per la vicenda dei Panama Papers – la più grande fuga di notizie di sempre – che ha coinvolto una mole impressionante di documenti (oltre 11 milioni) e che è stata generata dall’azione di una “talpa interna” allo studio legale Mossack Fonseca, che amministra le fortune offshore di molti personaggi noti a livello internazionale.
Panama è comunemente riconosciuta come paradiso fiscale ovvero come uno Stato in cui persone fisiche e società estere godono di un regime fiscale particolarmente vantaggioso. A Panama alle società offshore è richiesto semplicemente di pagare una tassa pari a 300 dollari annui mentre non si pagano una serie di altre tariffe fra cui tasse sulle transazioni internazionali e su depositi bancari.
Ma soprattutto a Panama ciò che è garantito alle imprese è la privacy: i nomi e le informazioni personali degli imprenditori non sono archiviati in nessun registro pubblico governativo e perciò restano anonimi. La segretezza è garantita dal fatto che costituisce un reato per le banche panamensi - che possono essere punite con una multa pari a 100.000 dollari - rivelare qualsiasi informazione sui propri clienti salvo che la richiesta provenga da una Corte di giustizia, cosa che avviene per casi particolarmente gravi come terrorismo o il traffico di droga.
Il clamore suscitato dai Panama Papers è stato enorme e così il tema della fiscalità di Panama è tornato ad essere di strettissima attualità. Ciò è dimostrato anche dal fatto che lo stesso governo italiano è recentemente intervenuto con determinazione su questo aspetto. A tal proposito lo scorso 23 maggio la Camera dei Deputati ha dato via libera al disegno di legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione tra Italia e Panama per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali.
La Convenzione consta di 29 articoli e si applica nei confronti dei residenti in uno o in entrambi gli Stati contraenti.
Il disegno di legge è stato pensato con il duplice scopo di: 1) limitare i casi di doppia imposizione fra Italia e Panama, cercando di creare una cornice normativa di riferimento per tutti gli attori economici che realizzino business con il piccolo Stato del Centro America; 2) combattere i fenomeni di evasione ed elusione fiscale.
Il testo si inserisce nel contesto generale di ampliamento della rete di convenzioni per evitare le doppie imposizioni stipulate dall’Italia e disciplina gli aspetti fiscali inerenti alle relazioni economiche tra i residenti dei due Paesi. Esso si configura inoltre come un importante strumento per le imprese che operano o che hanno intenzione di operare sul territorio panamense, nel tentativo di renderle maggiormente competitive specialmente nel raffronto con le imprese concorrenti di altri Paesi.
Questo accordo sancisce il raggiungimento di due risultati importantissimi per il fisco del Belpaese: la fine del segreto bancario e lo scambio di informazioni fiscali. Nell’accordo è infatti specificato che nessuna delle due Parti contraenti potrà rifiutare di fornire informazioni sulla mera base del fatto che esse siano detenute da una banca, da un’istituzione finanziaria o da un agente fiduciario.
La Convenzione prevede poi l’introduzione di regimi fiscali differenziati in base alla fonte di provenienza dei redditi in questione:
• Redditi immobiliari–> l’imposizione fiscale “è prevista a favore dello Stato in cui sono situati gli immobili”;
• Utili di impresa–> il diritto esclusivo di tassazione è attribuito al Paese di residenza dell’impresa stessa a meno che l’azienda in questione “svolga attività nell’altro Stato per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata”;
• Dividendi–> è in vigore “la previsione della tassazione definitiva nel Paese di residenza del beneficiario” ma il fisco dello Stato in cui essi sono stati realizzati può “prelevare un’imposta alla fonte” applicando due aliquote pari al 5 o al 10%.
Panama dunque può essere finalmente depennata dalla lista dei cosiddetti “paradisi fiscali” ed il nostro Paese deve dunque concentrare i propri sforzi di contrasto a fenomeni di evasione ed elusione fiscale su altre piazze offshore (fra cui Isole Vergini, Cayman, Delaware, Kenya, Gambia, Samoa Occidentali, Tibet) che non sembrano avere intenzione di intraprendere un cammino di “normalizzazione fiscale”. L’accordo con Panama è dunque certamente positivo ma la strada per combattere con efficacia comportamenti fiscali fraudolenti appare essere ancora in salita.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it
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