Uno dei temi di “scottante attualità” è quello dell’export. Nonostante gli ultimi dati disponibili mostrino un rallentamento del flusso di merci italiane verso l’estero, il tema continua ad essere ampiamente dibattuto sia online che attraverso i media tradizionali. È semplice intuirne le motivazioni: il mercato interno sta ancora soffrendo le conseguenze di una crisi lunghissima, i consumi, seppur in ripresa sono ancora troppo deboli e last but not least, il Made in Italy in tutte le sue espressioni gode di un forte appeal all’estero ed è sotto gli occhi di tutti che le attuali quote di mercato detenute da imprese italiane all’estero possono essere ulteriormente ampliate.
È naturale, quindi, che sempre più imprenditori aspirino a trovare nuovi sbocchi per i propri prodotti per dare nuova linfa alle proprie aziende. Esportare, però, non significa semplicemente partecipare alle fiere, accordarsi con degli acquirenti e spedire le merci.
Internazionalizzare un’impresa è un vero e proprio progetto che, al pari di tutti gli altri, necessita di una fase di analisi (ed autoanalisi) in cui individuare con oggettività le proprie potenzialità e definire punto per punto i passi da compiere per evitare che l’idea si trasformi in un fallimento.
Uno strumento utilissimo, se non indispensabile in questa fase è il business plan, specie quando internazionalizzarsi implica insediarsi stabilmente all’estero attraverso una propria struttura produttiva o commerciale o una joint venture.
Spesso il business plan è visto come un fastidioso adempimento richiesto per accedere a fonti di finanziamento da parte di banche o altri istituti di credito, in realtà il soggetto più importante per il quale deve essere redatto il business plan è l’impresa stessa dato il forte impatto che un progetto di internazionalizzazione ha sulla sua organizzazione e sull’assetto economico-finanziario.
Ecco, dunque, qualche consiglio per redigere di un business plan. Prima, però, partiamo da una definizione.
Il business plan è uno strumento strategico-operativo, che ha l’obiettivo di realizzare una analisi di fattibilità di un progetto aziendale (nel nostro caso l’internazionalizzazione e non la semplice esportazione poiché nel caso dovremmo ricorrere ad un export plan) attraverso la valutazione di dati economico-finanziari ed organizzativi dell’impresa e del mercato in cui si vuole andare ad operare.
Consiglio n.1: raccogliere tutti i dati disponibili senza trascurare alcun aspetto. Occorrerà sempre tenere a mente che lo scopo dell’analisi è aiutare l’imprenditore a decidere: non farsi travolgere dalle informazioni.
Il business plan è, pertanto, costituito da due parti:
1) parte descrittiva: contiene lo studio dei mercati e del settore in cui si opera, la definizione della strategia aziendale e il piano di azione operativo oltre alla presentazione della società e del progetto che si intende realizzare;
2) parte economico-finanziaria: utile a fornire la stima di redditività del progetto, ma soprattutto a valutarne la sostenibilità economico finanziaria da parte dell’impresa.
La parte descrittiva deve contenere l’analisi di una serie di aspetti tra cui:
- valutari;
- politici, culturali e sociali;
- normativi;
- contabili e fiscali;
- di struttura del mercato e dei competitor;
- organizzativi interni (risorse umane a disposizione e relative competenze, livello di produzione massimo raggiungibile, necessità di investimenti in nuovi macchinari, etc..).
La parte economico finanziaria deve, invece, focalizzare l’attenzione su:
- le vendite previste e quelle necessarie al raggiungimento del break even point e la previsione di vendite future;
- i costi necessari per realizzare il progetto e la previsione di costi futuri;
- gli investimenti da compiere e le relative coperture;
- i conti economici e patrimoniali;
- il flusso di cassa.
Consiglio n.2: il business plan è un documento complesso e tecnico che richiede competenze specifiche. È consigliabile farsi aiutare da un esperto, meglio se esterno all’azienda: un punto di vista oggettivo aumenterà l’attendibilità del business plan.
L’indice di un buon business plan deve, inoltre, prevedere la presenza di due documenti di sintesi, l’Executive Summary e l’Investment Memorandum, la cui realizzazione è legata ad aspetti di riservatezza e facilità di lettura: il business plan, infatti, per sua natura contiene informazioni sensibili relative all’azienda ed al mercato di riferimento (attuale e potenziale) e pertanto, sarebbe un’importante fonte di informazione qualora dovesse finire nelle mani di un competitor; essendo, poi, un documento lungo e dettagliato è buona norma sintetizzarlo per permetterne una consultazione veloce a chi voglia avere subito presente il quadro generale.
Infine, una sezione molto importante del business plan e che richiede lo stesso impegno per la sua preparazione è il Piano di Marketing.
Tutte le analisi e le previsioni contenute in un business plan devono riguardare un periodo temporale di 3/5 anni, in quanto un progetto di internazionalizzazione richiede l’impiego di risorse che viene ripagato solo nel medio-lungo periodo.
Realizzare un buon business plan non è sinonimo di successo dell’attività imprenditoriale estera, ma aiuta nel ridurre fortemente l’ipotesi di un suo fallimento sia perché rende evidenti tutti gli aspetti da curare per la riuscita del progetto sia perché la sua flessibilità (elemento essenziale di un business plan di successo) permette di adottare per tempo eventuali azioni correttive che dovessero rendersi necessarie nella fase di misurazione periodica dei risultati raggiunti.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Francesco Bromo, redazione@exportiamo.it
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