Nell’ultimo decennio abbiamo visto mutare i comportamenti e le funzioni dei mercati e degli intermediari finanziari a livello domestico ed internazionale dettati principalmente dal dispiegarsi contemporaneamente degli effetti dell’innovazione tecnologica e della globalizzazione dei mercati sul piano organizzativo, logistico e gestionale.

Tali elementi sono alla base dei più evidenti fenomeni che hanno caratterizzato la profonda trasformazione del mercato bancario ed in particolare si assiste a:

Affermazione forme di gestione istituzionale del risparmio, che incide ormai in maniera determinante sull’orientamento dei flussi di capitale, sulle linee di allocazione della ricchezza e sulla sua distribuzione internazionale;

• La caduta delle barriere operative e regolamentari;

• La generale liberalizzazione dei movimenti di capitale bancario e non.

È in questo contesto, dunque, che il ruolo del governo dei rischi assume una importanza crescente, da un lato perché funzionale allo sviluppo degli operatori, dall’altro in quanto strumento indispensabile per affrontare un contesto finanziario più volatile e competitivo.

Per mantenere un elevato livello di capacità competitiva in un mercato divenuto globale, le aziende sono obbligate ad affinare le proprie valutazioni di rischio, con riferimento sia ai fattori gestionali sia alle politiche finanziarie e di bilancio.

Diventa dunque indispensabile disporre di adeguate metodologie di analisi volte a monitorare le informazioni disponibili sulle diverse e spesso variegate realtà nazionali e delle singole aziende estere.

Operare con efficienza sui mercati esteri, in particolare in quelli che per livello di sviluppo, cultura ed infrastrutture, presentano maggiori difformità rispetto alla realtà italiana, presuppone un’approfondita analisi delle implicazioni di natura finanziaria ed organizzativa.

Tra le forme più consolidate di reporting sugli scenari internazionali, vi sono, per esempio le cosiddette schede-paese, che contengono dati e valutazioni sulla struttura produttiva di ciascuna nazione. In effetti tutte le operazioni con l’estero - oltre ai rischi di natura finanziaria dovuta all’oscillazione dei cambi e agli oneri connessi con il trasferimento dei fondi - sono esposte anche al rischio del capitale investito, il cosiddetto rischio-paese.

Parliamo del rischio dovuto a numerose circostanze di carattere politico ed economico e che può concretizzarsi in discriminazioni contro lo Stato creditore ed investitore e, talvolta, nel disconoscimento dei debiti verso l’estero.

Per monitorare e prevenire il rischio-paese, si prendono in considerazione alcuni indicatori sulla stabilità politica e sulla situazione economica e finanziaria dello Stato debitore:

• finanziamento degli investimenti
• formazione del risparmio
• ripartizione del reddito
• tasso di inflazione
• composizione ed elasticità dell’interscambio commerciale
• struttura della bilancia dei pagamenti
• debito estero e riserve ufficiali.

Le informazioni disponibili possono essere rappresentate o dai giudizi qualitativi con delle relazioni periodiche, oppure da modelli matematici elaborati per esprimere giudizi in termini quantitativi. In quest’ultimo caso è generalmente stabilito un importo massimo di esposizione complessiva verso il Paese preso come riferimento per la ripartizione dei crediti a livello internazionale.

Il rischio è assegnato in funzione dello Stato cui appartiene l’ultimo garante ma si possono però presentare problemi nel caso in cui siano concessi crediti interbancari alle filiali estere dei corrispondenti o nell’ipotesi in cui siano corrisposti prestiti dove la residenza del garante non è determinata ai fini del rimborso.

In tali casi, infatti, la pratica del recupero comporterebbe un allungamento dei termini ed un aumento del rischio.

Nell’analisi del rischio-paese è comunque indispensabile confrontare il giudizio di più parti come per esempio quello delle banche internazionali, delle agenzie di rating internazionali, della stampa specializzata e delle organizzazioni creditizie a carattere sovranazionale come il Fondo Monetario Internazionale.

A livello metodologico invece si possono utilizzare diverse metodologie per la valutazione dei rischi internazionali e qui di seguito elenchiamo le principali.

GO-NO-GO
Con questa metodologia, gli investimenti di uno Stato sono valutati in base all’esame di una o due caratteristiche, senza un’analisi più approfondita.Tale tecnica ha il vantaggio di richiedere poche indagini ma è esposta al rischio che le poche variabili esaminate non siano del tutto esaustive per una corretta valutazione del rischio.

PREMIUM FOR RISK
È una tecnica più avanzata della precedente e si basa sull’attesa di una redditività maggiore nei Paesi con maggior grado di rischio. Approssimativamente un investimento all’estero è considerato vantaggioso se rende il 10% in un Paese a sviluppo avanzato ed almeno il 15% in un area instabile. La differenza tra la redditività attesa ed il rischio imputato al paese considerato determina il premium for risk che sarà tanto maggiore quanto più elevata è la differenza della redditività rispetto al rischio. Nonostante la sua notevole diffusione - soprattutto in America - questa tecnica presenta due difetti, da un lato la difficoltà di attribuire “pesi ponderali” appropriati ai fattori che interessano e dall’altro il presupposto poco realistico che il rischio rimanga costante per tutta la durata dell’investimento.

RANGE OF ESTIMATES
Questa tecnica implica la stima dei livelli di rischio previsti nei vari anni per i diversi fattori che influenzano la redditività dell’investimento, espressa in termini di utile netto o di cash flow o in base ad altri parametri. Quindi si cerca di prevedere la variabilità dell’obiettivo, cioè il rischio, al variare di fattori di volta in volta considerati o selezionati in base alla loro maggiore correlazione con la redditività. L’area entro la quale è compreso il risultato è determinata dalla combinazione di quei fattori utilizzati.

RISK ANALYSIS
Questo metodo richiede l’attribuzione del grado di probabilità ai possibili livelli di rischio considerati. Quindi, con un modello di simulazione computerizzato, si può ottenere la curva di distribuzione dei risultati in correlazione con la loro probabilità. Varie organizzazioni pubbliche e private hanno elaborato una classifica dei vari Stati in base al rischio-paese. Ricordiamo in particolare quella che la SACE compila dal 1978, quella pubblicata periodicamente sulle riviste inglesi Euromoney e The Institutional Investor, quella proposta dal Consensus e l’International Outlook del Fondo Monetario Internazionale.

Naturalmente è intuitivo come tutti gli strumenti ed i modelli matematici utilizzati sono evidentemente tanto più preziosi, quanto più chi li elabora dispone di fonti informative di “prima mano” e di esperienze dirette sui singoli mercati, con la possibilità di aggiornare costantemente il proprio rating.

In ogni caso, un sufficiente sistema di reporting dovrebbe contenere almeno i seguenti elementi:

• descrizione dell’evoluzione politica del Paese, dei suoi assetti istituzionali e della sua collocazione nel contesto internazionale;

• aggiornate rilevazioni circa i principali dati macroeconomici del Paese (PIL, bilancia commerciale e valutaria, tasso di interesse, tasso di inflazione, livello dei consumi e degli investimenti, il debito estero, il servizio del debito estero);

• analisi dei piani di sviluppo varati dal Governo del Paese e gli strumenti legislativi e finanziari che assecondano questi progetti;

• valutazione del Paese da un punto di vista finanziario ed assicurativo;

• accurata illustrazione del mercato interno, delle infrastrutture, delle vie di comunicazione e delle forme di distribuzione delle produzioni prevalenti;

• esame dei fondamentali atteggiamenti delle imprese locali nei confronti del consumatore;

• indirizzi e punti di riferimento utili per indagini, ricerche e studio.

Tutte queste informazioni si rivelano estremamente utili per un primo approccio ai mercati e naturalmente dovranno essere tenute in debita considerazione qualora si decida di intervenire in nuovi Paesi.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Massimo Ferracci, Esperto di Finanza Aziendale, redazione@exportiamo.it

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