Se nel bel mezzo di un dibattito sulle startup vi capitasse di sentir parlare di unicorni, non iniziate a dubitare del vostro udito perché quando si parla di unicorni - in ambito imprenditoriale - non ci si riferisce ai mitologici animali - dal corpo di cavallo con la peculiarità di possedere un singolo corno in mezzo alla fronte - ma ad una particolare tipologia di start-up.

Gli “unicorni” sono tutte quelle imprese di recente fondazione operanti nel campo tecnologico e non quotate in borsa, capaci di raggiungere una valutazione pari o superiore al miliardo di dollari in breve tempo.

Buona parte di queste realtà nascono e crescono nella Silicon Valley in California, la parte meridionale dell’area metropolitana della Baia di San Francisco, e fra queste si annoverano veri e propri colossi dell’hi-tech e del mondo social che dopo esser stati unicorni sono diventati giganti, la lista è lunga ma basta pensare a realtà come Apple, Cisco, Facebook, Google, Oracle e Twitter per farsi un’idea.

Certamente l’area è assai prolifica sia per la presenza di numerosi venture capitalist ma anche perché è la sede di quelle che possono essere definite “istituzioni” nel campo della formazione come Stanford, Berkeley ed alcuni fra i più grandi laboratori di ricerca del governo federale americano.

Il 2015 è stato definito da esperti ed addetti ai lavori un anno memorabile per gli unicorni con ben 156 “nuove apparizioni” a livello globale, per un controvalore complessivo pari a 550 miliardi di dollari.

La spiegazione di questo momento magico va cercata innanzitutto nel forte incremento dell’ammontare complessivo dei finanziamenti: nel 2015 pari a circa 41 miliardi di euro, cifra del 50% superiore a quella relativa all’anno precedente.

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Il vento però sembra essere cambiato e nel 2016 potrebbe “soffiare” in senso opposto dal momento che negli ambienti vicini ai cosiddetti hedge funds - fondi speculativi che effettuano investimenti ad alto rischio finanziario - stanno crescendo le preoccupazioni circa l’inconsistenza di alcune valutazioni finanziarie (considerate eccessive) riguardanti più di una di queste realtà.

Uno degli effetti di questo mutato clima è la sensibile discesa nelle valutazioni di alcune di queste giovani società ed il dato globale è significativo visto che ben 58 startup tecnologiche sono state oggetto di svalutazione dall’inizio del 2015 e fra queste ad esempio sono ricomprese realtà come Snapchat, Dropbox ed Evernote.

La prova del nove potrebbe essere compiuta nel momento in cui le startup decidessero di confrontarsi con il libero mercato, accettando di quotarsi in borsa, ma la realtà ci dice che sono sempre di meno le aziende che decidono di intraprendere questo percorso - solo 16 nel 2015 e ancora nessuna nel 2016 - evitando il rischio all’orizzonte di veder drasticamente tagliate le valutazioni aziendali originarie.

A livello comunitario i cosiddetti unicorni non sono così numerosi - solo 16 - e sono distribuiti fra Londra, Berlino, Stoccolma, Parigi, Amsterdam, Praga e Seningerberg, mentre Roma è ancora ferma a quota zero.

A riaccendere almeno parzialmente la fiammella della speranza per il nostro Paese ci ha pensato un recente studio - “Growth 50” - realizzato dalla società di analisi Tech Tour che basandosi sull’analisi dei ritmi di crescita e dei trend nei finanziamenti, ha stilato un ranking delle 50 giovani imprese più promettenti a livello europeo.

Per l’Italia nella lista sono presenti solo due imprese in realtà, la Translated ed Octo Telematics, non certo un risultato lusinghiero se si considera che il Regno Unito conta 20 potenziali unicorni, la Germania 9 e Francia ed Irlanda 4.

Ma chi sono gli unici due potenziali unicorni italiani?

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Translated è una società che offre un servizio di traduzioni professionale in oltre 1600 combinazioni linguistiche e - da oltre 10 anni - mette in contatto 73.526 clienti e 173.737 traduttori ma di certo non può più esser considerata una startup dato che l’anno della sua fondazione (1999) non è cosi recente.

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L’altro potenziale unicorno italiano la Octo Telematics sviluppa dispositivi che rilevano automaticamente incidenti stradali trasferendo tutte le informazioni utili sia alle compagnie assicurative che alle strutture di soccorso più vicine, oltre a fornire altri strumenti che assolvono a diverse esigenze che vanno dalle info sul traffico, al recupero delle auto rubate e calcolo delle assicurazioni più convenienti in base alle peculiarità del profilo di ciascun cliente.

I dati ed i numeri analizzati descrivono dunque una situazione non propriamente rosea per le startup tecnologiche “Made in Italy” e la via d’uscita non può che non essere una moltiplicazione delle possibili fonti di finanziamento, specialmente per le imprese più giovani. Probabilmente in questo modo si potrà finalmente assistere ad un processo di crescita più rapido e ben strutturato delle startup italiane e, forse, solo allora saremo in grado di crescere ed allevare all’interno dei nostri confini qualche unicorno in più.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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