L’Italia è un paese unico così come il “Made in Italy” e il dato è inconfutabile, perfetta sintesi tra storie e culture che hanno attraversato la nostra penisola e la geografia voluta dal destino. Valerio Castronovo, storico dell’industria italiana, ha più volte ribadito la presenza di alcune costanti che da sempre contraddistinguono il “Made in Italy”.
Innanzitutto emerge un legame fortissimo tra la produzione manifatturiera italiana e la provincia, con i distretti produttivi attuali a rappresentare l’evoluzione di locali tradizioni nelle lavorazioni manifatturiere così come nelle pratiche mercantili. Tutto ciò all’interno di un universo policromo e variegato più di quanto si ritenga generalmente, perché oltre all’eccellenza nelle “Quattro A” (Arredamento, Automazione, Agroalimentare e Abbigliamento), nel tempo il saper fare tricolore si è trasformato in un metodo e un carattere distintivo in grado di affermarsi anche in altri settori (Meccanica, Cantieristica, Impiantistica, Elettrotecnica, Chimica, Energia e Aerospazio).
Proprio i distretti industriali - vittime negli ultimi decenni di critiche in merito all’inadeguatezza di fronte alla sfida della globalizzazione - continuano a rappresentare il lato migliore del nostro sistema produttivo, una certezza che incarna al contempo l’eccellenza della produzione italiana e la capacità di innovazione e resilienza di fronte alle sfide poste dalla crisi sistemica degli ultimi anni.
In questo 2016 che dovrebbe vedere finalmente un’inversione di tendenza credibile nella crescita economica del Paese dopo anni bui, il Rapporto di Intesa Sanpaolo “Economia e Finanza dei Distretti Industriali” - giunto alla sua VIII^ edizione e recentemente presentato dai vertici dell’istituto di credito - conferma il valore e competitività dei distretti industriali, quali punti di forza dell’industria italiana.
Il campione totale è rappresentato da 48.100 imprese manifatturiere e agricole, con un fatturato complessivo pari a circa 560 miliardi di euro e - a partire da quest’anno - si analizza l’evoluzione degli addetti e della capacità di creare occupazione.
Nel rapporto vengono passati al setaccio i bilanci aziendali degli ultimi sei anni (2008-14) di quasi 13.000 imprese appartenenti a 147 distretti industriali e di 32.250 imprese non distrettuali attive negli stessi settori di specializzazione, traendo significative conclusioni sul ruolo dei distretti. Sono inoltre analizzati anche i risultati economico-reddituali di circa 3.000 imprese appartenenti a 22 poli tecnologici.
Ad emergere è come nell’ultimo biennio (2014-15) il fatturato a prezzi correnti delle imprese distrettuali sia cresciuto in media all’anno dell’1,9% mostrando un andamento migliore alle imprese attive nelle aree non distrettuali; mentre se si analizza un arco di tempo più lungo e che in sostanza coincide con la crisi (2008-15) sono quasi 6 i punti percentuali di crescita in più per le imprese dei distretti rispetto alle altre.
Ancora più importante la capacità di resilienza delle imprese dei distretti, riuscite a recuperare quanto perso durante la crisi e tornate ai livelli di fatturato del 2008 mentre al di fuori ancora si rincorrono i profitti ante-crisi.
Anche la dinamica occupazionale all’interno dei distretti è migliore, non solo in ragione della capacità delle realtà più dinamiche di evidenziare una crescita degli occupati più elevata, ma anche con la maggiore tenuta occupazionale dimostrata dalle realtà distrettuali in difficoltà.
Nei distretti il 20% delle imprese tra il 2008 e il 2014 ha registrato un aumento degli addetti superiore al 38%, cinque punti percentuali in più rispetto alle aree non distrettuali, il Rapporto sottolinea come questi risultati si spiegano con il modello organizzativo distrettuale che favorisce la mobilità interna ai distretti (tra un’impresa e un’altra) e il passaggio da imprese in difficoltà a imprese in espansione.
Oggi emerge una nuova classe di medie imprese, capaci sempre tra il 2008 e il 2014 di aumentare significativamente il fatturato (+10%), accrescere i propri addetti (+5%), rafforzando i propri livelli di produttività del lavoro e di redditività e facendo leva anche su una struttura patrimoniale più solida.
Nei distretti il contributo di queste imprese è riuscito a compensare quasi interamente l’aumento del costo del lavoro per addetto, a differenza di quanto osservato nelle aree non distrettuali.
Questa nuova generazione vincente di medie imprese insieme ai gruppi capofila consolidati nei territori, riesce oggi a trainare le performance di molte aree di eccellenza distrettuale.
Nel rapporto vengono anche ordinati i distretti per performance di crescita e reddituale, ricavando la classifica dei 15 migliori che racchiude al suo interno tutte le filiere produttive e le macro-aree italiane con una prevalenza dei distretti dell’agroalimentare (6) e del sistema moda (4) a livello di specializzazione, mentre a livello geografico a prevalere sono i distretti del Nord-Est (8) e del Centro (4).
Il podio è quasi tutto veneto con l’occhialeria di Belluno in cima alla lista, seguita dal prosecco di Conegliano-Valdobbiadene che come abbiamo visto vince sui mercati internazionali mentre sul gradino più basso troviamo il Marmo di Carrara.
Oltre a fotografare la realtà, il Rapporto si sofferma anche su quei fattori strategici che potranno contribuire al mantenimento strutturale di migliori risultati nei distretti rispetto alle imprese non distrettuali. Nel tempo è emersa sempre di più l’accumulazione di una maggiore capacità di esportare, di effettuare investimenti diretti esteri, di registrare brevetti e marchi, tutti dati che confermano i distretti luogo privilegiato nel rispondere alle esigenze dei tempi e del mercato.
Nei distretti non solo è più alta la quota di imprese che esportano con ben oltre un terzo (38,4%) delle imprese impegnate sui mercati internazionali, ben oltre il dato delle imprese al di fuori (29,4%), ma è anche più elevata la percentuale di imprese con attività di export e dotate di marchi registrati a livello internazionale (il 32,7% rispetto al 25,8%) così come è più intensa la presenza all’estero con partecipate (24,9 imprese partecipate ogni 100 imprese in Italia mentre nelle aree non distrettuali ci si ferma a 18) e più importante l’impegno sul fronte dell’innovazione con circa 50 brevetti ogni 100 imprese contro i 42 delle aree non distrettuali.
Molte aree distrettuali sono divenute sede quasi esclusiva di certe produzioni mentre altre hanno visto nuovi investimenti da parte di operatori medio-grandi nazionali in ragione del fenomeno del reshoring, ovvero il ritorno nei distretti industriali di produzioni precedentemente portate fuori dai confini nazionali e hanno attirato anche l’interesse di multinazionali estere.
Le attività di concia, calzature, oreficeria, occhialeria, strumenti musicali, piastrelle, maglieria, abbigliamento e tessile sono fortemente concentrate nei distretti, con oltre il 50% delle imprese collocate all’interno di realtà distrettuali, dove continuano ad avere un ruolo importante le istituzioni locali con la realizzazione di infrastrutture, il supporto nella gestione di progetti di sviluppo all’estero, l’erogazione di servizi e la realizzazione di iniziative formative.
Con EXPO alle spalle, il Rapporto si sofferma anche sulle specificità dei distretti dell’agroindustria, con le province distrettuali che registrano una più alta concentrazione di coltivazioni e allevamenti certificati DOP-IGP, una maggiore diversificazione dell’attività agricola come dimostra il fiorire di attività legate all’agriturismo e un orientamento maggiore verso la produzione e l’utilizzo di energia rinnovabile.
Altro dato interessante da considerare è quello generazionale, con l’età media dei titolari delle aziende minore rispetto a quella delle province non distrettuali, mentre cresce la percentuale di diplomati e laureati, con un maggiore grado di specializzazione nelle discipline agrarie.
Interessante infine il tema dei contratti di rete, trattato sia dal punto di vista del legame con i distretti industriali, che da quello dell’impatto sulle performance d’impresa che stanno conoscendo una rapida diffusione nel manifatturiero italiano.
Nel panorama giuridico italiano questo strumento è stato introdotto nel 2009 e non ha riscosso un successo immediato, ma ha conosciuto una rapida espansione a partire dal terzo trimestre 2011 e alla fine del 2015 il censimento vede 13.008 soggetti in rete, per 2.596 contratti stipulati
Al momento però non sembra emergere un legame significativo tra imprese distrettuali e partecipazione a contratti di rete e nella realtà le relazioni informali che caratterizzano i distretti non sembrano - almeno finora - essersi formalizzate con l’attivazione di specifici contratti di rete.
Dando uno sguardo al futuro prossimo anche nei prossimi anni i distretti industriali dovrebbero mostrare performance migliori rispetto alle aree non distrettuali e - secondo le previsioni del Rapporto - nel biennio 2016-17 si dovrebbe assistere ad un’evoluzione ancora positiva del fatturato delle imprese distrettuali in tutte le principali filiere produttive con un sostegno importante proveniente dal mercato interno.
Nel biennio 2016-17 - sempre diffusa a tutti i settori distrettuali - proseguirà più in generale la fase di ripresa dei margini unitari e si assisterà ad un allentamento delle tensioni sul fronte della sostenibilità del debito, grazie anche alla presenza di condizioni del credito particolarmente favorevoli.
Concludendo appare evidente come i distretti industriali - nel tempo – sono stati capaci di dimostrarsi resilienti nei confronti della crisi e capaci di adattarsi ad una realtà in continua evoluzione ed è qui che vanno cercate e tutelate le competenze e le tradizioni del saper fare italiano, il riflesso delle nostre eccellenze apprezzate in tutto il mondo.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Antonio Passarelli, redazione@exportiamo.it
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