A inizio marzo l’ufficio nazionale di statistica ha diramato un comunicato relativo alla crescita economica irlandese che ha lasciato a bocca aperta molti addetti ai lavori: l’isola è cresciuta, nel 2015, ad un ritmo incredibile (+7,8%) superiore a India (7,1%) e Cina (6,8%).

Il dato impressiona innanzitutto perché non si deve dimenticare che - solo fino a qualche anno fa - l’Irlanda versava in una situazione di profonda difficoltà economica tanto da esser stata in assoluto uno dei Paesi maggiormente colpiti dalla grande crisi scoppiata nel 2008.

La crisi globale aveva letteralmente spazzato via venti anni di progresso economico e sociale (1988-2008) che avevano portato il Paese a poter vantare il più alto prodotto interno lordo pro capite dell’Unione Europea dopo il Lussemburgo, superiore di oltre il 30% rispetto alla media comunitaria di allora.

Il segreto dell’impetuoso sviluppo economico era stato una politica industriale decisamente protesa nei confronti dell’innovazione ed in effetti erano stati proprio il comparto tecnologico e l’eccellente livello formativo delle risorse umane interne due degli elementi chiave del successo irlandese.

Oggi però il Paese può finalmente guardare al futuro con un rinnovato ottimismo anche grazie al consistente (85 miliardi di euro) e provvidenziale programma di aiuti internazionali, inaugurato nel 2010 e concluso alla fine del 2013, predisposto in seguito alla grave situazione dei principali istituti bancari, travolti dal crollo del mercato immobiliare con lo scoppio della “Irish Property Bubble”.

L’Irlanda però non si è persa d’animo e grazie alla determinazione del primo ministro Enda Kenny - dal 2011 alla guida dell’esecutivo che ha potuto contare sulla più ampia maggioranza parlamentare nella storia del Paese - è riuscita a contenere e gestire le conseguenze della crisi finanziaria.

Durante il suo mandato il leader del Fine Gael - partito di centro-destra di stampo dichiaratamente europeista - è riuscito ad approvare una serie di riforme ispirate alle politiche di austerity e per questo fortemente apprezzate da alcuni ambienti comunitari rifiutandosi tuttavia di rivedere al rialzo il livello di tassazione delle imprese.

La fiscalità agevolata per le imprese (la corporate tax è oggi al 12,5%) è stata e continua ad essere un fattore di forte attrattività per il Paese e per questa ragione numerose multinazionali hanno deciso di sfruttare l’Irlanda come piattaforma di esportazione per il commercio comunitario ed internazionale.

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Nonostante la fase espansiva dell’economia in atto, le elezioni politiche dello scorso 26 febbraio hanno riservato una brutta sorpresa al premier uscente che era accreditato dai più come il vincitore annunciato della tornata elettorale.

Il sogno di diventare il primo leader del Fine Gael ad essere eletto primo ministro per due volte è dunque sfumato. Infatti nonostante Enda Kenny sia riuscito - raccogliendo il 25,5% dei consensi - a mantenere la maggioranza relativa dei seggi, la coalizione di governo formata da Fine Gael e Partito Laburista ha perso la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento passando da 99 deputati a 57 deputati su un totale di 158.

Il governo non è stato in grado di distribuire i benefici della ripresa economica in atto ed i cittadini irlandesi - nonostante il Paese sia quello che ha registrato una crescita maggiore in tutta l’area Euro e la disoccupazione abbia toccato il livello più basso degli ultimi sette anni (8,8%) - l’hanno punito.

In questi giorni la situazione di stallo politico è evidente, ma le previsioni per il 2016 sono ancora molto positive con il PIL che dovrebbe continuare a crescere del 4-5% e con la disoccupazione che potrebbe contrarsi fino al 7,5% e dunque dimezzarsi rispetto al 15% registrato a fine 2012.

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Le febbrili consultazioni di questi giorni per eleggere un nuovo Taoiseach (primo ministro in irlandese) sembrano avere due sole vie d’uscita: l’accordo fra i due avversari storici il Fine Gael ed Fienna Fail (che ha ottenuto il 24% dei consensi e 44 seggi in Parlamento) che appare però abbastanza complicato o l’immediato ritorno alle urne.

Sarebbe un vero peccato per l’isola verde sprecare questa occasione per il definitivo rilancio a causa dell’impossibilità di formare un nuovo governo capace di mettere in campo politiche economiche di supporto alla crescita.

Saranno comunque anche le dinamiche a livello internazionale a determinare il futuro dell’Irlanda che, in questi anni, ha visto aumentare significativamente il suo surplus commerciale anche grazie ad un euro più debole (rispetto al recente passato) nei confronti del dollaro americano e della sterlina britannica, i due principali partner economici del Paese.

In effetti alcuni analisti pensano che - se la Brexit dovesse diventare una realtà concreta - nei prossimi mesi la sterlina potrebbe iniziare un percorso di ridimensionamento rispetto all’euro facendo perdere così enormi opportunità di business ed introiti commerciali all’Irlanda.

C’è poi un’altra questione che spaventa la “Tigre Celtica” che riguarda la pressione proveniente dagli ambienti comunitari che spingono per un rialzo dell’imposta sui redditi d’impresa che continua a giocare un ruolo fondamentale nell’attrarre multinazionali sull’isola perché ritenuta un caso di concorrenza sleale nei confronti degli altri Paesi del Vecchio Continente.

La tigre irlandese è dunque tornata a ruggire, ma solo con cautela e lungimiranza potrà proseguire con passo veloce nel virtuoso percorso di crescita intrapreso negli ultimi anni.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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