Ci siamo soffermati circa un mese fa sulla firma della Trans Pacific Partnership (TPP) promossa dagli Stati Uniti insieme ad altri 11 Paesi (Giappone, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Messico, Cile, Peru’, Singapore, Malaysia, Vietnam e Brunei) che interessa il 40% del commercio mondiale, ricordando come per concludere l’accordo ci sono voluti 8 anni e 19 round di negoziati tra le parti e all’indomani della firma, l’ex Vice Ministro Calenda commentava:

“La creazione dell’area di libero scambio del Pacifico non potrà che facilitare i negoziati fra gli Usa e l’Ue. E, a quel punto, se anche il Ttip diventerà una realtà, saremo solo all’inizio”.

Ecco venerdì scorso a Bruxelles si sarebbe in teoria concluso il 12° round negoziale tra Unione Europea e Stati Uniti per la conclusione del Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti- TTIP che punta alla creazione della più ampia zona di libero scambio tra le due sponde dell’Atlantico.

Proseguono infatti questa settimana e la prossima, gli incontri tra le due delegazioni: il tempo fugge, la scadenza delle elezioni americane è sempre più vicina mentre l’ultimo round oltreoceano a Miami, in ottobre, era stato un flop.

Sono stati inoltre già calendarizzati altri due round negoziali in primavera, non previsti in precedenza perché l’obiettivo è arrivare entro l’estate come dichiarato dal Negoziatore Ue, Ignacio Maria Bercero, con:

“Progressi sostanziali sulle regole, l’accesso al mercato e l’armonizzazione dei regolamenti ma soprattutto un’idea compiuta del perimetro da dare al negoziato”.

Naturalmente sempre per il negoziatore spagnolo dell’Ue tutto ciò non significa assolutamente “compromettere le normative comunitarie”, mentre la controparte fa sapere di voler chiudere il negoziato entro la fine del 2016, ma non a tutti costi perchrè come sottolineato dal capodelegazione statunitense Dan Mullaney:

“Deve essere un accordo giusto ma non leggero”.

Non è mancata la retorica - come è giusto che sia durante un negoziato - parlando di “passi avanti” su molti temi, di “spazi tra parentesi che si stanno riducendo” e nel frattempo, l’Ue ha consegnato le sue proposte per gli investimenti, mentre da parte americana sono state avanzate le proposte sulla protezione dell’ambiente e in questi giorni si discute proprio di questi temi.

Sul tavolo anche le proposte per gli appalti pubblici, tema delicatissimo e soprattutto sul quale si parte da posizioni distinte, potendo godere le imprese statunitensi già di una maggiore apertura in Europa e obbedendo il governo federale al “Buy american” che restringe il mercato agli operatori esteri, mentre a livello sub-federale si tratterebbe di coinvolgere tutti i 50 stati federati.

Rimangono questioni spinose dove la distanza tra le parti sembra quasi incolmabile come quella delle Indicazioni geografiche che ci interessa da molto vicino, ma non manca ottimismo circa la possibilità di trovare una soluzione.

Sullo sfondo uno dei nodi più delicati da sciogliere è sempre quello legato al meccanismo di risoluzione delle controversie tra investitori (ISDS), visto con preoccupazione in Europa perchè considerato come un elemento di possibile revisione degli standard europei in materia di salute e ambiente da parte di molti parte interessate.

La strategia negoziale, fissato l’obiettivo di avere un testo consolidato entro luglio e la firma entro l’anno, è quella di lasciare per gli “end games” ovvero l’ultima fase del negoziato, i dossier più divisivi.

Avvicinandosi la scadenza, giustamente tocca scoprire le carte su tutti i temi come appunto la clausola ISDS con la proposta del Commissario Malmström che prevede l’istituzione di un sistema giudiziale con un tribunale e giudici selezionati da Ue e Stati Uniti. Questa tipo di clausola è stata recentemente accettata nell’accordo in via di perfezionamento tra Canada e Ue e da questo punto di vista crea un precedente che secondo molti lascerebbe poco margine di opposizione agli Stati Uniti.

Nell’ultimo numero di Monde Diplomatique, Anne-Cécile Robert partendo dalla considerazione che:

“La democrazia è come le rane. Gettata in un pentolone d’acqua bollente, una rana salta fuori d’un balzo, ma se la immergete in un recipiente d’acqua fredda sotto cui sia accesa una fiamma, si lascerà cuocere a fuoco lento” arriva a riflettere su come oggi in tutti gli spazi della democrazia e della vita pubblica - dalle trasmissioni di intrattenimento all’attualità mediatica, passando per i discorsi dei politici - il ricorso all’emozione sia diventato obbligato.

Il problema è che se le emozioni - positive o negative che siano - arricchiscono l’esistenza, possono costituire invece una sfida pericolosa per la democrazia nel momento in cui diventano invadenti e tendono a sostituire l’analisi, infatti:

“Basta digitare ‘viva emozione su un qualsiasi motore di ricerca per veder sfilare un’infinità di notizie, dai più banali casi di cronacanera fino agli attentati che hanno insanguinato la cronaca recente da Parigi a Beirut”.

Sul tema dei negoziati commerciali che stanno ridisegnando anche gli equilibri geopolitici del mondo, oltre che intervengono sui diritti dei cittadini e sulla sovranità degli stati, è opportuno andare oltre la retorica e l’emozione dominante e quasi dogmatica e rimanere nel campo dell’analisi.

Ad oggi, appare dunque evidente che mentre su alcuni settori c’è un punto di arrivo, come quello dell’azzeramento delle tariffe, su altri come abbiamo visto si è ancora in alto mare, come la questione agricola e i suoi elementi critici (dagli Organismi geneticamente modificati alla promozione dei prodotti DOP, soprattutto europei, sul mercato statunitense) e nel frattempo le migliaia di organizzazioni promotrici delle campagne Stop TTIP mettono in guardia sulla tutela dei diritti e delle produzioni locali evitando letture ideologiche molto rischiose da applicare.

Nella versione 2.0 della globalizzazione che stiamo vivendo, non sfugge certo la centralità data a profitti, scambi, finanza e merci, ma come sempre non bisogna lasciare indietro persone, ambiente e diritti perché in gioco - non ci solo interessi e capitali - ma i destini generali e come è noto, se un aereo si schianta chi sta in business non si salva.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Antonio Passarelli, redazione@exportiamo.it

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