L’export del comparto agroalimentare italiano gode di buona salute e questa non è certo una novità. La novità è che a crescere non sono solo le vendite sui mercati internazionali di pasta, vino e formaggi, ma nuove classi di prodotti - che per definizione difficilmente riusciremmo a definire simboli del “Made in Italy” - si affacciano sui mercati globali con grande succeso.
Stiamo parlando della birra, ad esempio, il cui valore delle esportazioni negli ultimi dieci anni è triplicato (+206%) e del caviale, il cui valore delle esportazioni è passato da zero a 11,2 milioni di euro.
Il mercato della birra - in particolare quella artigianale - registra ottime performance innanzitutto nel mercato domestico, con oltre 301 milioni di litri prodotti nel 2014 ed una produzione che cresce costantemente, incoraggiata da una domanda dinamica.
Secondo una ricerca Astra/AssoBirra infatti, ben il 72% degli italiani beve birra e tra questi il 60% la consuma abitualmente in casa, mentre per il 49% degli italiani rappresenta - dopo l’acqua indispensabile per la vita - la seconda bibita presente nei frigoriferi.
L’aumento della produzione birraria va di pari passo con il vero e proprio exploit che ha visto fiorire sul territorio - in maniera capillare - i microbirrifici e oggi si contano 1.000 birrifici artigianali attivi in Italia, con una produzione cresciuta del 60% rispetto al 2011, un fatturato che oscilla tra i 100.000 euro e gli 800.000 euro e soprattutto buone capacità di crescita occupazionale.
Per quanto riguarda le esportazioni nei primi cinque mesi del 2015, sono cresciute di oltre un quarto (+27%) rispetto allo stesso periodo del 2014 e secondo Assobirra, il dato finale sul 2015 relativo alla produzione nazionale, stimata intorno ai 210 milioni di litri segna un passo in avanti rispetto ai 191 milioni del 2014.
La maggior parte della birra prodotta in Italia - pari al 76,2% del totale - è destinata al mercato europeo, con il Regno Unito ad assorbire gran parte delle esportazioni con circa 1 milione di ettolitri, mentre risultano nettamente staccati gli altri Paesi del Vecchio Continente come dimostrano i dati relativi a Paesi Bassi (115.000 mila ettolitri), Francia (90.000 ettolitri) e Germania (33.000 mila ettolitri).
Al di fuori del mercato europeo l’export cresce soprattutto negli Stati Uniti e in Australia e flussi interessanti sono diretti in Brasile, mentre crisi economica e sanzioni hanno penalizzato le vendite in Russia. Guardando ad est, le prospettive di crescita sono incoraggianti e - grazie alla crescita dei consumi della domanda interna - Thailandia e Giappone appaiono i mercati più promettenti.
Guardando in prospettiva invece la crescita per le produzioni italiane e la conquista di nuovi mercati appaiono interessanti, anche se in alcuni casi la presenza di aziende che vantano antiche tradizioni - come ad esempio Regno Unito e Germania - potrebbe sembrare penalizzante se non far sembrare l’impresa impossibile.
Come sempre sono qualità e differenziazione dell’offerta a dare valore e lustro al “Made in Italy” che ha saputo ritagliarsi una nicchia riconoscibile non solo a livello europeo, ma anche a livello mondiale, sfruttando la visibilità della rete distributiva di grandi gruppi internazionali che hanno saputo approffitare della brand awareness di storici marchi e investire in comunicazione e nuovi investimenti.
In un mondo in pieno fermento dunque, l’Italia deve continuare a prestare attenzione ed aumentare la consapevolezza del valore delle nostre produzioni anche investendo nella diversificazione dei canali distributivi e investendo in azioni di comunicazione e promozione capaci di far comprendere al mondo che la birra “Made in Italy” ha qualcosa da dire al mondo intero.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Annarita Summo, redazione@exportiamo.it
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