A Roma lo scorso 11 febbraio, al centro del dibattito del “Translatlantic Forum On Russia” - organizzato dal Centro Studi Americani della Capitale – c’è stato il nuovo ruolo geopolitico ed economico della Russia e inesorabilmente, l’attenzione si è focalizzata sul prolungamento delle sanzioni economiche nei confronti di Mosca fino al luglio 2016 e sull’impatto non solo sull’economia russa, ma anche su quella americana ed europea.
La mancata attuazione degli accordi di Minsk - siglati dalle parti in causa lo scorso 26 agosto - ha portato l’Ue a rinnovare le sanzioni vigenti dal marzo 2014, gradualmente imposte in risposta all’annessione illegale della Crimea e alla deliberata destabilizzazione dello stato ucraino da parte della Russia.
Lo scambio di battute più interessante registrato durante i lavori, è stato certamente quello tra Daniel Fried, Coordinatore per le politiche sanzionatorie presso il Dipartimento di Stato USA, e Dmitry Suslov, Studioso russo di prestigio internazionale, che hanno interloquito con toni un po’ meno “diplomatici” di quanto ci si potesse attendere, vista la Sede e i convenuti.
Mentre Fried ha sottolineato con toni quasi didascalici che le “sanzioni inflitte hanno uno scopo educativo in quanto se la Russia vuole accreditarsi come un partner centrale per il mondo occidentale deve definitivamente abbandonare il suo atteggiamento di dominazione ristabilendo su nuove basi più paritarie le relazioni con i propri vicini”.
Suslov ha ribattuto che “la Russia sta tentando di definire le nuove regole del gioco, sostenendo che gli Stati Uniti non possano dichiarare quale regime sia legittimo e quale no, né decidere unilateralmente il futuro di stati sovrani. Gli USA compiono l’errore di continuare a credere in un mondo Occidente-centrico in cui i valori occidentali sono valori universali”.
Parole e toni quasi da “Guerra Fredda” come la posta in gioco: la lotta per la leadership e l’influenza sullo schacchiere internazionale. Appare però troppo semplicistico – come alcuni fanno – risolvere tutte le contraddizioni e le criticità del nostro oggi, con analogie quasi nostalgiche che continuano a descrivere un mondo bipolare che ormai non esiste più.
Il ruolo dell’Italia, che guarda con pragmatismo agli effetti negativi delle sanzioni sul proprio interscambio commerciale con la Russia, è stato e sarà quello di tentare di aprire un varco nella rigidità tra le posizioni russe ed americane. Lo scorso dicembre, Roma aveva provato ad opporsi - senza successo - al rinnovo automatico delle sanzioni, chiedendo l’apertura di un dibattito politico che potesse portare a prefigurare una via d’uscita alla situazione di sostanziale stallo che non fa altro che recar danno al Paese.
I numeri in effetti lasciano poco spazio alle interpretazioni e l’interscambio Italia-Russia nel dicembre 2015 è sceso del 21,4% rispetto allo stesso periodo del 2014 e va ancora peggio se si considera l’andamento delle esportazioni di Made in Italy verso Mosca che si sono ridotte del 30%.
La mediazione durante il dibattito è stata affidata soprattutto a Deborah Bergamini, segretario della delegazione italiana all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, che non ha nascosto la sua preoccupazione: “Stiamo pagando un prezzo troppo alto, abbiamo perduto circa il 25% del potenziale export solamente nel settore agroalimentare, abbiamo il dovere di fermare questo disastro. La Russia non può essere considerata un nemico ma piuttosto un partner strategico”.
Ad oggi comunque una soluzione politica al problema non è ancora stata trovata e - sebbene più di un osservatore esprima fiducia su una soluzione della questione entro la fine del 2016 - il nostro Paese farebbe bene a cautelarsi, prescindendo dagli sviluppi ufficiali della controversia in atto.
Lo spazio per provare almeno parzialmente ad “aggirare” le sanzioni ci sarebbe in effetti, come dimostra quanto sta facendo il sistema manifatturiero della regione Marche che vuole sfruttare l’Unione economica eurasiatica (che comprende Russia, Bielorussia, Kazakistan, Armenia e Kirghizistan) per arrivare al mercato russo attraverso la cosiddetta “Russia Bianca”, malgrado l’embargo vigente.
Servono soluzioni per salvaguardare gli interessi delle nostre imprese in affari con la Federazione Russa e la sponda che Minsk potrebbe fornire alle PMI italiane, potrebbe rappresentare un asset realmente strategico e prezioso per porre fine al declino imposto degli scambi.
Si ripropone immediatamente però la “questione etica” nel concludere affari con un soggetto come Aleksandr Lukašenko, Presidente della Bielorussia dal 1994 e definito dagli Stati Uniti “l’ultimo dittatore e tiranno in Europa”, più di un dubbio potrebbe essere sollevato proprio in considerazione di quei principi internazionali che sono le fondamenta delle sanzioni che Mosca sta scontando.
L’antica locuzione latina - pecunia non olet - si confermerà ancora una volta di grande attualità?
Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it
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