Start-up, innovazione, imprese “green”, e-commerce e incubatori d’impresa, sono tutte realtà e tematiche facilmente ed automaticamente associate alle fasce più giovani della popolazione, a ragazze e ragazzi under 30 che oggi - di fronte alle numerose difficoltà ad entrare nel mercato del lavoro - provano a costruirsi un’opportunità occupazionale in maniera autonoma ed indipendente.

In realtà però non è proprio così e le associazioni spontanee di ognuno, non trovano un effettivo riscontro con la realtà o meglio, questo emerge dal Rapporto Italia Startup 2015 che contribuisce a tracciare il profilo tipo dello “startupper Made in Italy”.

Nel Belpaese infatti appena il 15% degli startupper sono under 30, mentre ben 2 startupper su 3 (66%) hanno un età compresa fra i 30 ed i 49 anni e quasi il 20% degli “imprenditori di nuova generazione” sono in realtà degli over 50.

Se poi si leggono i dati nel dettaglio si evidenzia come nella fascia 55-64 anni si concentri quasi il 15% della nuove imprese e in questa fascia di imprenditori - i cosiddetti “imprenditori senior” - troviamo non solo molti lavoratori dipendenti o manager d’azienda che posseggono esperienza e know-how preziosissimi nel processo di avviamento di nuove attività di business, ma anche docenti universitari alla ricerca di nuovi stimoli e fortemente attratti dalla possibilità di creare qualcosa di proprio, mettendo a frutto i lunghi anni di ricerca e riflessione all’interno degli atenei.

Il vantaggio per questa categoria di business man, va cercato soprattutto nell’acquisita consapevolezza - spesso assente nei casi di capitale di rischio più “giovane” - che uno dei segreti per raggiungere il successo sta nella creazione di un team di lavoro ben assortito, una “squadra” in cui la contaminazione sia il principio guida di ogni attività aziendale.

Il team dunque deve essere vario sia a livello di età che di competenze, specialmente se l’obiettivo è quello di attrarre l’attenzione e soprattutto i fondi dei cosiddetti Business Angels.

Parliamo di quei soggetti impegnati a setacciare i mercati alla ricerca di tutte quelle imprese che hanno ottime prospettive di crescita e dunque di guadagno, e che spesso orientano le loro scelte puntando molto, proprio sulle competenze settoriali che le startup possono vantare nella fase di avviamento, sentendosi più sicuri nel “rischiare” il proprio capitale in progetti “garantiti” dall’esistenza di un solido background di esperienze e competenze sulle quali poter fare affidamento.

Bisogna ricordare che il capitale messo a disposizione dai Business Angels costa normalmente non meno del 10% del patrimonio netto della società e, per le imprese in fase di maturazione, il costo può addirittura superare il 50%, senza considerare che molti di questi investitori addebitano un costo di gestione “fisso” nella forma di un contributo che deve essere corrisposto su base mensile.

In Italia questi soggetti si riuniscono spesso in “cordate” per investire cifre variabili che in genere che oscillano fra i 100.000 e i 150.000 euro per ogni startup o PMI individuata come investimento potenzialmente redditizio.

E’ noto come in tempi di crisi PMI e startup abbiano patito una grave e crescente difficoltà nel poter accedere al credito ed ottenere finanziamenti per poter sviluppare attività innovative e competitive sia sul mercato nazionale che su quelli stranieri.

Riuscire a guadagnarsi il supporto finanziario di questi soggetti non è affatto semplice perché - apportando capitali propri - essi devono valutare con attenzione il progetto in essere, individuandone rischi ed opportunità e soprattutto cercando di monetizzare il loro investimento entro un arco temporale di breve-medio periodo (dai 3 ai 5 anni) con la realizzazione di una significativa plusvalenza al momento dell’uscita dalla compagine societaria. In molti casi infatti oltre ai capitali, gli investitori, mettono a disposizione dell’impresa anche la loro esperienza manageriale e la loro rete di contatti.

I settori che hanno più appeal sono ICT (40%), Terziario (15%) e Commercio (10%) ma, sebbene competenze ed esperienza facciano sempre più spesso pendere l’ago della bilancia nelle decisioni di investimento dalla parte degli startupper più “esperti”, sono numerosi i dubbi sollevati dai Business Angels nei confronti degli imprenditori over 60.

Il dubbio più rilevante, in alcuni casi è anche legittimo, dal momento che è difficile immaginare un sessantenne che possa investire il medesimo entusiasmo e le stesse energie di un ragazzo o una ragazza che, almeno in teoria, dovrebbe essere più “affamato” e pronto a dedicarsi anima e corpo al proprio progetto imprenditoriale.

Appare dunque fondamentale prestare sempre molta attenzione nel non generalizzare e, soprattutto, evitare il grossolano errore di sottovalutare i “senior startupper” perché i numeri che abbiamo qui commentato appaiono tutt’altro che irrilevanti e dimostrano quanto l’innovazione non sia una questione meramente anagrafica.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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