Quando si parla di commercio internazionale l’attrattività dell’Italia nei confronti degli investitori stranieri è un evergreen tra i temi di discussione e, per questa ragione, è da anni oggetto di scontro e di studio fra gli esperti. In molti sottolineano come le misure per migliorare l’appeal del Belpaese siano molteplici e dovrebbero coinvolgere non solo le istituzioni ma anche la società e, per certi versi, lo stesso “spirito italiano” visto e considerato che norme e giustizia, carico fiscale, eccesso di burocrazia, scarsa flessibilità del mercato del lavoro ed alto livello di corruzione sono gli elementi più citati da chi riflette sull’opportunità di effettuare un investimento nella Penisola.

La recente notizia della prossima apertura a Napoli del primo centro di sviluppo app d’Europa da parte di un colosso tecnologico come Apple è il sintomo che qualcosa sta cambiando.

Lasciando da parte l’eccessiva enfasi iniziale sul progetto che in realtà coinvolge Apple in un progetto di cooperazione con l’Università di Napoli, non si può negare quanto la notizia sia molto interessante, specialmente se vista dalla prospettiva di uno dei 600 fortunati giovani studenti desiderosi di comprendere tutte le funzionalità del sistema operativo iOS che adesso avranno la possibilità di intraprendere un percorso formativo per imparare a sviluppare applicazioni per dispositivi mobili targati Apple.

Una bella opportunità per i più giovani in un momento storicamente drammatico per le nuove generazioni oltre ad un ottimo spot per il nostro Paese, dopo anni di “fuga di capitali” stranieri che ha fatto di certo piacere al premier Renzi: “Una bella realtà di innovazione, di App, per oltre 600 persone ma non è l’unica novità positiva. Ci sono cento milioni di euro di investimento di Cisco in Italia nei prossimi tre anni, dalla Lombardia alla Campania, iniziative molto belle. E questi annunci sull’ICT sono solo i primi due…”.

La leggera ripresa economica italiana pare dunque non sia passata inosservata agli occhi degli investitori internazionali sempre alla ricerca di nuove opportunità che, nel loro concreto sviluppo, hanno permesso a realtà come Apple di creare in Europa circa 1,5 milioni di posti lavoro, tra cui ben 1,2 milioni direttamente o indirettamente legati all’universo “app economy” che ha fatturato oltre 10 miliardi di euro nel 2015.

Ma attenzione a cullarsi su facili e sterili entusiasmi perché ancora è tutto da verificare se il valore aggiunto creato da questi investimenti sarà reinvestito in Italia o verrà trasferito all’estero. Quel che è certo è che l’Italia necessita di una svolta digitale che però richiede un processo serio ed in quest’ottica rientra la discussione del governo sul “Digital Act” ed i cui risultati si vedranno chiaramente solo nel medio periodo.

Di innovazione sembrano aver sempre più voglia anche gli stessi italiani stando a quanto emerge dai risultati di una recente indagine svolta da Nomisma “Quali elementi di attrazione per il consumatore italiano”, si comprende quanto la maggioranza degli abitanti del Belpaese veda una “svolta digitale” come una soluzione a diversi problemi spinosi come disoccupazione, guerra e terrorismo.

Se si guarda poi ai modesti dati sugli investimenti effettuati dal governo italiano in ricerca e sviluppo (20 miliardi di euro) - giusto per contestualizzare, neanche la metà di quelli messi in campo da Svezia e Germania - i capitali provenienti dall’estero dovrebbero essere accolti con ancora maggiore entusiasmo dato che il 90% degli italiani esprime una valutazione positiva dell’innovazione contro una media europea ferma al 77%.

Il 68% degli intervistati ha dichiarato di voler provare subito un prodotto innovativo ed il 42% è disposto a pagare di più (ma senza fare follie) per un prodotto di nuova generazione che possa sostituire quello che usa quotidianamente.

Gli italiani sembrano davvero essere più avanti di chi governa il Paese in quanto a consapevolezza ed apertura nei confronti dell’innovazione e infatti il 94% ritiene che questa sia essenziale per promuovere la crescita economica ma considera le imprese presenti nella Penisola ancora troppo poco innovative.

Gli ambiti in cui si richiede maggiore innovazione sono salute, fonti energetiche, lavoro e tutela dell’ambiente mentre, sono considerati “comparti del futuro”, ricerca sulle staminali, robotica, bionica, smartphone, shopping online ed esplorazione dello spazio.

Nello specifico la cosiddetta “app economy” può già esibire numeri tutt’altro che trascurabili in Italia se si considera che è stato stimato - in uno studio condotto dal Progressive Policy Institute - che sono circa 100.000 gli occupati in questo settore (lo 0,4% dei lavoratori italiani). Anche in questo caso il confronto con gli altri Paesi europei è ancora impietoso dal momento che Inghilterra (320.000), Germania (270.000), Francia (230.000) e gli stessi Paesi Bassi (125.000), possono mettere in mostra cifre molto più importanti delle nostre.

In un’ottica continentale invece, i numeri del “Vecchio Continente” in quanto ad occupazione generata dall’innovazione sono ottimi e sorprendentemente vicini a quelli degli Stati Uniti che occupano attualmente circa 1,66 milioni di persone contro i 1,64 milioni di occupati a livello comunitario.

Un utile strumento per comprendere il livello di innovazione è lo European Innovation Scoreboard (EIS), lo strumento per stilare la classifica dei Paesi europei con maggiori capacità espresse di innovazione.

L’EIS si basa su 26 indicatori statistici e fa uso del RIS (Regional Information Survey) che quantifica l’innovazione regionale al livello europeo.

In testa allo speciale ranking troviamo la Svezia (74/100) seguita da Danimarca (73,6), Finlandia (67,6) e Germania (67,6).

L’Italia si piazza solo al 19° posto (43,9) ed insegue da lontano i Paesi nordeuropei anche se un dato positivo c’è e proviene dalla parte settentrionale del Paese che piazza tre regioni (Emilia Romagna, Piemonte e Friuli Venezia Giulia) sul podio nel gruppo “inseguitori dell’innovazione”.

Come accade in altri ambiti anche per quanto riguarda l’innovazione, la carenza ed il generale ritardo dell’Italia è compensato da note particolarmente positive, eccellenze che permettono all’intero sistema Paese di guardare al futuro con un minimo di speranza ma, se le istituzioni non si decideranno ad intervenire con tempestività e determinazione nel prossimo futuro, il cammino per “gli innovatori Made in Italy” sarà sempre più duro.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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