Il 22 gennaio a Roma si è tenuto il convegno dell’Istituto Affari Internazionale (IAI) “Il Fondo Monetario nel XXI secolo, sfide di breve e di lungo periodo” e la nostra redazione ha seguito con interesse l’appuntamento e soprattutto l’intervento più atteso, quello dell’ex commissario alla spending review per i governi Letta e Renzi, Carlo Cottarelli, attuale Direttore Esecutivo del Fondo Monetario Internazionale (FMI).
Cottarelli nel suo intervento ha illustrato le prospettive dell’economia mondiale, analizzando anche il ruolo - in notevole evoluzione - dell’organizzazione istituita nel lontano 1945 in seguito alla conferenza di Bretton Woods ed alla quale aderiscono oggi ben 188 governi nazionali.
In primo luogo l’economista italiano ha commentato il recente World Economic Outlook (WEO) che ha rivisto le stime di crescita del PIL mondiale per il biennio 2016-2017 al ribasso, passando dal 3,6 al 3,4%.
Cottarelli ha spiegato che le ragioni di questa prevista decelerazione sono molteplici:
• Il lento “normalizzarsi” dei tassi di interesse cominciato lo scorso dicembre con il primo aumento dei tassi dal 2006 deciso dalla Federal Reserve americana;
• Il continuo calo del prezzo delle materie prime che ha portato nervosismo sui mercati internazionali specialmente in Africa e Medio Oriente;
• Le incertezze ed i dubbi che continuano ad addensarsi sul futuro dell’economia cinese
• La tendenza al mismatch fra domanda ed offerta che si registra sui mercati internazionali con un incremento della domanda di servizi a fronte di un incremento dell’offerta industriale.
Il “rallentamento previsionale” di oggi - come ha spiegato il Direttore Esecutivo FMI - non deve essere vissuto con eccessivo allarme, in quanto si tratterebbe comunque di un’accelerazione rispetto alla crescita registrata nel 2015 (+3,1%).
Inoltre - ha sottolineato Cottarelli - se si guardano i dati in una prospettiva storica, l’economia mondiale ha vissuto solo un periodo di grande splendore negli ultimi 40 anni (2000-2007) caratterizzato da tassi di crescita del 4,5% ma sappiamo com’è andata a finire, mentre negli anni ‘80 e ‘90 - da molti ricordati come “anni d’oro” - l’avanzamento della ricchezza mondiale si era invece fermato al +3,3%, un dato sostanzialmente in linea con l’attualità.
Era forse lecito attendersi qualcosa in più dal momento che si sta uscendo da un periodo di forte crisi “ma probabilmente tassi di crescita superiori al 4% non torneranno più, almeno nel breve-medio periodo”, ha evidenziato Cottarelli.
I Paesi cosiddetti emergenti guideranno ancora la crescita globale con i rialzi più significativi (+4,7% nel 2017), in ogni caso in forte calo rispetto ai tassi di crescita registrati fino al 2010, seguiti dagli Stati Uniti (+2,5%) e dalla zoppicante area Euro (+1,7%).
Sono proprio i Paesi più sviluppati ad aver maggiormente subito la crisi del 2007 che ha lasciato cicatrici profonde in particolare sul debito pubblico globale (dal 72% del PIL nel 2007 al 105% nel 2015 e una crescita inferiore per gli emergenti dal 38% al 45%) e dalla quale è difficile uscire senza attuare politiche economiche espansive che farebbero lievitare ancor di più il debito. Siamo di fronte ad un cane che si morde la coda anche se, come ci ha tenuto a precisare l’economista del FMI, la ricetta possibile è una sola perché “non ci può essere stabilità senza crescita”.
Fra gli altri interventi molto interessante in prospettiva export, quello di Riccardo Barbieri, capo economista del Ministero del Tesoro che ha evidenziato quanto la problematica dirimente da risolvere per rilanciare la crescita, sia quella della domanda aggregata globale che continua ad essere debole.
Questa situazione è una conseguenza dei cambiamenti avvenuti a livello di distribuzione del reddito dal 1980 in poi che ben si possono riassumere con un dato relativo alla situazione oltreoceano. Negli anni ’80 l’1% più ricco della popolazione degli Stati Uniti deteneva l’8% della ricchezza complessiva, oggi quello stesso 1% possiede il 20% del PIL statunitense.
Questa tendenza è riscontrabile a livello globale con la crisi della classe media che - per continuare a sostenere elevati livelli di consumo - ha cominciato a “vivere al di sopra delle proprie possibilità” indebitandosi per acquistare immobili e beni di consumo e provocando un mix letale di sofferenze bancarie e bolle speculative esplose con forza nel 2007.
Anche per l’Italia vale lo stesso discorso con una classe media - vero motore dell’economia del Paese - uscita decimata e malridotta dalla crisi e che solo ora, sta cominciando a lanciare dei timidi segnali di ripresa con la lieve ripartenza dei consumi.
La notizia che emerge dal WEO è che le previsioni di crescita per l’Italia, a fronte di un rallentamento globale, non sono state ridotte ma confermate per il 2016 all’1,3% anche se queste sono inferiori rispetto a quelle elaborate lo scorso settembre dal governo italiano (+1,6%).
Barbieri ha ammesso che il positivo andamento della dinamica import-export ha trainato il Paese nel 2015, facendo registrare un avanzo commerciale di 5,9 miliardi di euro, vale a dire il livello più alto dal lontano gennaio 1993, ma potrebbe “rallentare in ragione delle mutate condizioni economiche globali e perché si è chiusa una fase di distensione geo-politica”.
Le turbolenze sui mercati cinesi - oltre alla richiesta della stessa Cina di entrare a far parte delle economie di mercato, un’eventualità che danneggerebbe non poco le nostre esportazioni, lasciano intravedere sullo sfondo un nuovo protagonista sui mercati internazionali, l’India.
L’Italia deve lavorare per ricostruire la fiducia persa nelle relazioni bilaterali a causa della controversia internazionale sui fucilieri italiani che va ormai avanti da quasi quattro anni e che deve essere risolta ed archiviata.
L’Italia per continuare a crescere nel 2016 non può ignorare la dinamica del mercato interno ed anzi forse la speranza di rispettare le ottimistiche previsioni di Palazzo Chigi oggi è riposta proprio “in un deciso rafforzamento dei consumi”.
Tutto sommato se il governo riuscisse ad aumentare il generale benessere dei cittadini mantenendo il livello delle esportazioni su quello registrato nel 2015, l’obiettivo dell’1,6% che, è bene ricordare rimarrebbe comunque inferiore alla media prevista per l’area Euro (1,7%), potrebbe non essere così irraggiungibile.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it
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