Nonostante la congiuntura economica internazionale non sia stata d’aiuto gli investimenti nell’energia pulita nel 2015 hanno continuato a crescere (+4% sul 2014) registrando un nuovo record a livello mondiale con ben 329 miliardi di dollari investiti ed una capacità installata in ascesa che ha raggiunto 57 gigawatt da fotovoltaico e 64 gigawatt da fonte eolica.

Considerando la serie di fattori combinatisi negli ultimi mesi che avrebbero potuto determinare il calo della convenienza ad investire nelle energie rinnovabili, un quadro meno ottimistico di quello che ci troviamo a commentare non sarebbe stato poi così impensabile.

Il costante crollo dei prezzi dell’oro nero, principale competitor delle energie “green” (scesi sotto i 30 dollari al barile), il vistoso ed allarmante rallentamento di diverse economie in via di sviluppo e la recente crisi del colosso cinese, sono solo alcuni degli elementi che avrebbero potuto scoraggiare l’iniezione di capitale nel comparto.

I dati che emergono dal rapporto “Clean Energy Economy 2015” - sviluppato da Bloomberg New Energy Finance - evidenziano come i più attivi e virtuosi in questo campo siano i Paesi del Sud America e dell’Asia.

L’Oriente vola sotto la guida di Pechino, i cui investimenti pari a 110 miliardi di dollari hanno rappresentato circa 1/3 del totale, e proprio nel continente asiatico si concentrano infatti le aree che, per volumi e disponibilità economiche, moltiplicheranno le opportunità di business per tutte le imprese operanti nel settore.

Molto positivi anche i numeri provenienti da Tokyo (43,6 miliardi), dove - dopo il panico scatenatosi in seguito all’incidente di Fukushima - si punta con decisione sulla Green Economy, ma l’incremento più consistente con 11 miliardi di investimenti complessivi è stato quello di New Delhi (+23%).

Incrementi da capogiro - anche se si tratta di valori assoluti sensibilmente più contenuti intorno ai 4 miliardi - hanno fatto registrare invece alcuni Paesi latinoamericani come Messico (+114%), Cile (+157%) e abbiamo approfondito già gli straordinari risultati delle politiche energetiche messe in campo dall’Uruguay.

Performance negativa invece per il Vecchio Continente che, dopo anni di boom sostenuto dai forti incentivi erogati, registra una brusca battuta d’arresto (-18%) e nel complesso il livello è al di sotto dei 60 miliardi di dollari.

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Necessario quanto evidente però, rilevare le differenze fra i vari Paesi europei, con il Regno Unito (+24%) in controtendenza rispetto agli altri principali player come Germania (-42%) e Francia (-53%) che hanno ridotto drasticamente gli stanziamenti.

La forbice si allarga ulteriormente con Londra, se si leggono i dati in valore assoluto dal momento che il Regno Unito, impegna circa il 40% (23,4 miliardi) dell’intero capitale d’investimento dell’area Ue, mentre Berlino (10,2 miliardi) e Parigi (2,9 miliardi) sono decisamente staccate.

Da prendere a modello inoltre l’impegno ed il risultato ottenuto dalla Danimarca nel settore eolico: nel 2015 il 42% dei consumi elettrici sono infatti stati supportati da energia prodotta dal vento con una crescita del 3,1% rispetto al 2014.

Copenhagen come abbiamo approfondito in passato, sta sfruttando al meglio le proprie condizioni geografiche e climatiche, riuscendo anche a vendere il surplus energetico che realizza, in particolari periodi dell’anno, ad altri Paesi vicini come Norvegia, Svezia e Germania. Le mire dei danesi sembrano essere davvero ambiziose tanto che il governo ha redatto un piano d’azione che vorrebbe portare il Paese ad ottenere il 90% di elettricità e riscaldamento da fonti rinnovabili entro il 2030.

E l’Italia?

Pochi giorni fa l’assemblea generale dell’International Renewable Energy Agency (IRENA) ad Abu Dhabi ha eletto il nostro Paese a presiedere l’assemblea del prossimo anno.

Certamente essere inseriti in uno schema di collaborazione internazionale e partecipare attivamente alle riflessioni che si svolgono sullo sviluppo delle energie rinnovabili è importante, ma leggendo il dossier “Stop alle rinnovabili” pubblicato da Legambiente lo scorso novembre, le prospettive del nostro Paese in questo campo appaiono a tinte fosche.

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Gli ultimi esecutivi che hanno guidato il Paese (Monti, Letta e Renzi) sono - secondo l’associazione ambientalista - colpevoli di aver disincentivato gli investimenti nel settore attraverso l’approvazione di una serie di provvedimenti controversi come ad esempio la cancellazione degli incentivi in conto energia e l’eliminazione degli incentivi per il solare fotovoltaico anche per le famiglie e per la sostituzione dei tetti in amianto.

I numeri tuttavia sono buoni e le potenzialità non mancano come spiega il vicepresidente di Legambiente, Edoardo Zanchini:

“Nel 2014 le fonti rinnovabili hanno garantito oltre il 38% dei consumi elettrici, con un balzo impressionante rispetto a dieci anni prima (15,4%). Nel solare vantiamo addirittura un record mondiale di produzione rispetto ai consumi complessivi. Eppure, invece di esaltare questo successo che testimonia l’affidabilità di queste tecnologie, e di promuoverle in modo da diminuire la nostra dipendenza dall’estero per gli approvvigionamenti, si è scelto di porre un blocco. A motivare questa scelta è l’impatto che le rinnovabili hanno avuto sulla produzione elettrica italiana, che è stato tale da determinare, assieme alla riduzione dei consumi dovuti alla crisi economica e all’aumento dell’efficienza, la crisi delle vecchie e inquinanti centrali termoelettriche, portando alla chiusura di decine di impianti. Invece di sfruttare positivamente questo dato, il Governo Renzi e l’Autorità per l’energia si sono mosse solo per salvare il vecchio sistema, ancorato su alcuni grandi gruppi e centrali da fonti fossili”.

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La prepotente azione della lobby del “fossile” (gas, petrolio, carbone, nucleare) ha dunque influenzato e diretto le scelte degli esecutivi italiani ed i risultati sono già drammaticamente visibili e riportate fedelmente dai numeri. Tra il 2011 e il 2014 le installazioni di solare fotovoltaico ed eolico sono letteralmente crollate passando da 10.663 a 733 megawatt nel 2014 ed ora il rischio concreto è che si possa compromettere lo sviluppo di un settore innovativo che ha avuto il grosso merito di ridurre l’uso di fonti fossili, del prezzo dell’energia elettrica e delle emissioni di gas serra.

Puntare sulla “green economy” porterebbe benefici diffusi in tutta l’area euro tanto che la Commissione Ue ha calcolato che si potrebbero creare 3 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2020, e che si potrebbe arrivare a 6 milioni entro il 2050 se si raggiungesse la fine della dipendenza dai fossili.

Nonostante tutto l’Italia è la seconda “green economy” europea ma continua ad importare l’82% del suo fabbisogno energetico ben oltre la media europea (55%) sprecando un’opportunità che potrebbe portarla nel breve-medio periodo un surplus annuo pari allo 0,6% del PIL.

Anche nel continente africano, enormemente problematico e pieno di contraddizioni, alcuni Paesi hanno fiutato le potenzialità del settore, ed in Sud Africa si è assistito ad una vera e propria impennata degli investimenti nel 2015 (+329%), mentre il Marocco in soli dodici mesi è riuscito ad attrarre 2 miliardi di investimenti rispetto al quasi nulla dell’anno precedente e ha in programma la costruzione della più grande centrale solare a concentrazione del mondo.

Tornando a noi, non rimane che convincersi realmente e fattivamente di quanto e come il futuro passerà inevitabilmente dalle energie rinnovabili. Arrivare in ritardo sarebbe davvero un errore irreparabile con una pesante aggravante da considerare ovvero l’enorme potenziale inespresso del nostro amato “Belpaese”.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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