La liberalizzazione del commercio internazionale dal GATT al TTIP

La liberalizzazione del commercio internazionale dal GATT al TTIP

07 Gennaio 2016 Categoria: Marketing Internazionale

Con la globalizzazione dei mercati si fa spesso riferimento al processo di integrazione delle economie che si è diffuso a partire dalla metà degli anni novanta del secolo scorso, sinonimo di liberalizzazione, il cui scopo principale è la riduzione degli ostacoli che si frappongono alla libera circolazione di beni, servizi, capitali, persone e conoscenze.

Durante la conferenza di Bretton Woods del 1944 le potenze vincitrici si accordarono per l’affermazione di una gestione globale dell’economia con la creazione della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale - FMI e del General Agreement on Tariffs and Trade – GATT, quest’ultimo nato proprio per: “contribuire alla riduzione delle tariffe doganali e degli altri ostacoli agli scambi”.

I risultati più concreti si sono ottenuti a partire dagli anni ‘60 con il Kennedy Round e si stima che nel corso degli ultimi 50 anni le barriere tariffarie siano state abbattute di ben il 90%.

Solo nel 1975-80 con il Tokyo Round si è invece iniziato ad affrontare il difficile nodo delle barriere non tariffarie mentre con l’Uruguay Round (1988-94), i Paesi hanno convenuto per il definitivo passaggio da un sistema di accordi internazionali basato sulle tariffe e sui prezzi, ad un nuovo accordo che ha portato alla nascita dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC o WTO - World Trade Organization) dotato di un’autonoma capacità giuridica di regolazione delle controversie relative al commercio internazionale e con l’intento di:

• Migliorare le condizioni di accesso ai mercati, attraverso la riduzione delle barriere artificiali.

• Promuovere la concorrenza leale con i governi che possono imporre misure compensative contro le forme di concorrenza sleale, quali il dumping e le sovvenzioni alle esportazioni.

• Sostenere le riforme economiche dei paesi in via di sviluppo per farne crescere lo sviluppo economico e commerciale.

Il sogno di realizzare la liberalizzazione universale del commercio, nel tempo ha lasciato spazio ad obiettivi più pragmatici e all’affermarsi di nuove forme di cooperazione promosse dagli Stati al fine di ridurre le limitazioni al commercio. Si è assistito così al proliferare di forme di integrazione a livello bilaterale, regionale e continentale, a partire dalla stessa Unione Europea - alla quale oggi aderiscono ben 28 Paesi - e che a sua volta ha stipulato altri accordi con altri Paesi per promuovere gli scambi commerciali.

Poiché molto spesso si fa confusione tra le varie tipologie di accordi e le diverse forme di integrazione, proveremo a fornire un quadro sintetico ma chiaro.

Le Aree di libero scambio nascono quando dei Paesi si accordano per l’eliminazione o la riduzione delle barriere (tariffarie e non) di ostacolo alla libera circolazione di merci e sevizi tra le proprie economie e il commercio di prodotti è liberalizzato limitatamente alle merci prodotte nell’area. Tra gli esempi possiamo annoverare il North American Free Trade Agreement - NAFTA in vigore dal 1994 tra Stati Uniti, Messico e Canada; l’Asean Free Trade Area - AFTA in vigore dal 2002 tra Indonesia, Filippine, Tailandia, Singapore, Malaysia, Brunei, Vietnam, Laos, Myanmar, Cambogia e da gennaio 2010 con l’ingresso della Cina, divenuto ACFTA.

Le Unioni doganali soni invece caratterizzate dalla riduzione o eliminazione delle barriere interne e dalla presenza di tariffe esterne comuni sui prodotti importati dai paesi terzi e storicamente hanno rappresentato uno stadio di passaggio come nel caso dell’Unione Europea nata come unione doganale prima di evolversi in un mercato comune.

Nei Mercati comuni oltre agli accordi tariffari tipici di un’unione doganale, i Paesi membri beneficiano della libera circolazione di servizi e di capitali e tra gli esempi in questo caso possiamo citare il MERCOSUR (Mercado Comun del Sur) istituito nel 1991 tra Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e Cile.

Le Unioni politiche rappresentano lo stadio più evoluto e nascono per assicurare il miglior raggiungimento possibile degli obiettivi economici, monetari e sociali e pur non essendo una federazione, funzionano come sistema politico autonomo con proprie istituzioni e sostanzialmente questo rappresenta lo stadio attuale del processo di integrazione europea. Affermazione da ponderare con la realtà che mostra quanto in realtà questo processo sia incompiuto e pieno di contraddizioni, ma al contempo portatore di innovazioni ed elementi ibridi che portano alcuni a definire l’attuale architettura istituzionale europea un “ordinamento composito”.

Non da ultimo va invece ricordato il negoziato in corso sulle due sponde dell’Atlantico per la conclusione del Transatlantic Trade and Investment Partnership - TTIP che va avanti dal 2013, parliamo del “mega-regional agreement” dal parto travagliato tra Unione Europea e Stati Uniti che più volte abbiamo avuto modo di approfondire su Exportiamo.

Sulla sponda del Pacifico invece gli Stati Uniti e altri 10 Paesi dell’area (Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malaysia, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam) hanno concluso il Transpacific Partnership - TTP il cui peso è influente non solo a livello commerciale ma anche geopolitico, rappresentando secondo molti come abbiamo visto, un tentativo di contenere la crescente influenza economica della Cina.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Francesca D’Agostino, redazione@exportiamo.it

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