La Serbia ha una storia lunga e complessa, attraversata da molteplici tensioni ancora non pienamente risolte ma deve esser considerato un partner altamente strategico per l’Italia, sia per evidenti ragioni geografiche - che la rendono uno snodo fondamentale al centro dei Balcani - sia perché rappresenta il primo fornitore di beni sul mercato serbo con una quota di mercato pari al 16,4% superiore a Germania (12%), Bosnia (8,1%) e Russia (7,3%).

A livello assoluto l’interscambio commerciale Serbia-Italia è vicino ai 4 miliardi di euro e tra le nostre esportazioni troviamo autoveicoli, prodotti del settore moda, meccanica strumentale e prodotti in metallo, mentre importiamo principalmente autoveicoli e abbigliamento.

Con oltre 600 aziende molte delle quali appartenenti al settore tessile (fra cui Benetton, Pompea e Calzedonia), la presenza di imprese italiane in Serbia è consistente, e i nostri imprenditori impiegano oltre 20.000 lavoratori. Il più importante investimento italiano in Serbia rimane quello effettuato dalla Fiat con lo stabilimento di Kragujevac dove viene prodotta la 500 L.

Da rilevare anche la diffusa presenza nel settore finanziario (Banca Intesa, Generali ed Unicredit) che rende l’Italia uno dei paesi più visibili ed importanti sul territorio serbo.

Il contesto operativo serbo presenta più di un punto di forza fra cui un sistema fiscale che presenta numerosi vantaggi per gli investitori stranieri con una bassa imposta sui profitti di impresa. La Banca Mondiale nel suo ultimo rapporto “Doing Business” ha promosso la Serbia, capace di scalare ben 9 posizioni nello speciale ranking, passando dal 68° al 59° posto.

Nell’ultimo anno sono stati introdotti ulteriori incentivi per favorire la crescita di aree depresse e la creazione di nuova occupazione perché, nonostante il Paese disponga di una manodopera assai qualificata, in particolare a livello scientifico e tecnico, la disoccupazione rimane ferma ad un tasso estremamente elevato (18%).

Molto ben avviato è anche il processo di liberalizzazione del commercio non solo nei confronti dell’Ue ma di altri partner strategici fra cui Turchia, Bielorussia, Kazakhstan e Russia che si sviluppa attraverso accordi di libero scambio che fanno gola a molte imprese europee, perché attraverso la Serbia - al fine di evitare l’imposizione di dazi doganali e di aggirare le sanzioni - è possibile fare affari con Mosca.

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Infine da segnalare anche le numerose opportunità nel settore infrastrutturale che dovrebbe ulteriormente svilupparsi attraverso la costruzione del Corridoio paneuropeo, una delle dieci vie di comunicazione dell’Europa centro-orientale che collega Serbia, Austria, Slovenia, Croazia, Repubblica di Macedonia e Grecia.

Non è possibile ignorare però gli elementi di debolezza che caratterizzano il Paese sui quali tuttavia l’attuale esecutivo guidato da Aleksandar Vucic sta tentando di intervenire. Il Partito Progressista Serbo (SNS) che ha ottenuto nel 2014 la maggioranza assoluta dei seggi parlamentari, si trova di fronte a delle grandi sfide soprattutto in campo economico.

Si rende necessario un consolidamento fiscale per ridurre il deficit pubblico e l’indebitamento con l’estero e qualche risultato comincia ad intravedersi, anche se appare troppo ottimistica la previsione governativa che stima un drastico abbassamento del rapporto deficit-PIL (oggi al 5,9%) nei prossimi anni.

Parte di questa operazione dovrebbe essere il prodotto di una sensibile riduzione entro il 2020 della spesa pubblica per stipendi (dal 10% al 7%) e pensioni (dal 13,1% all’11%) con relativi problemi a livello di consenso per la compagine progressista in carica.

In questo quadro, le stime di crescita dell’Economist Intelligence Unit sono piuttosto positive e prevedono una ripresa che andrà via via consolidandosi nel prossimo triennio partendo dall’1% del 2015, toccando quota 2,5% per l’anno successivo per poi arrivare ad un più consistente 3,5% nel 2017.

Sullo sfondo rimangono poi le questioni legate all’ingresso del Paese nell’Unione Europea e la delicata situazione in Kosovo, vicende strettamente interconnesse.

Nel mese di gennaio 2014 sono state avviate le trattative per l’adesione della Serbia all’Ue a seguito della firma dell’accordo tra Serbia e Kosovo che obbliga le parti a non ostacolarsi nei rispettivi processi di integrazione europea, sottoscritto nell’aprile 2013 sotto la supervisione dell’allora Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Unione Europea, Catherine Ashton.

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Un passo in avanti che nella realtà però non trova un completo riscontro dal momento che la Serbia continua a non riconoscere l’indipendenza di Pristina, ed anche per questo appare difficile un imminente svolta nel processo di adesione alla comunità nonostante l’innegabile impegno del premier Vucic che il 21 gennaio 2014, giorno in cui sono ufficialmente iniziate le trattative per l’ingresso nello spazio comunitario, ha dichiarato che quello è stato il giorno più importante per il Paese dalla seconda guerra mondiale in poi.

La comunità internazionale pur riconoscendo gli sforzi fin qui compiuti, continua a fare però precise richieste ai serbi per poter accelerare il processo di adesione e tra le questioni sul tavolo ci sono oltre alla normalizzazione dei rapporti con il Kosovo, anche altri temi fondamentali come la revisione del sistema giudiziario (solo l’11% dei serbi ha fiducia nella giustizia); la lotta alla corruzione e al crimine organizzato; una maggiore salvaguardia della libertà d’espressione delle minoranze e della libertà di informazione.

Anche il Vecchio Continente ha un forte interesse ad aprire le proprie porte alla Serbia, sia per l’importanza geopolitica in chiave di sicurezza e stabilità regionale che il Paese potrebbe rivestire e sia perché, in virtù del rapporto di amicizia che Belgrado intrattiene con Mosca, potrebbe essere avviata una nuova fase di maggiore distensione nei rapporti fra Ue e Russia.

Vucic punta alla modernizzazione dell’economia del Paese anche perché le percentuali di consenso delle quali gode oggi - circa il 46% - rischiano nel giro di breve tempo di allinearsi su quelle molto meno esaltanti del governo (26%), mentre un aumento degli interscambi commerciali con la vicina Europa favorirebbe l’afflusso di capitali stranieri, migliorando la difficile situazione occupazionale del Paese.

Ad oggi come emerge dalla Country Risk Map redatta da SACE esistono “rilevanti prospettive di investimenti futuri nel settore dell’energia, in particolare nel campo delle rinnovabili, delle infrastrutture stradali e ferroviarie, anche grazie ai finanziamenti disposti da Banca Mondiale, BEI, BERS e Commissione Europea. Da evidenziare inoltre le opportunità nell’agroalimentare, specialmente in Vojvodina”.

L’Italia dunque, oltre ad essere geograficamente vicina, può contare anche su rapporti commerciali ben sviluppati con la Serbia e, data la forte volontà riformatrice dell’esecutivo in carica, la virtù sarà nel saper cogliere le occasioni che si presenteranno per le nostre PMI.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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