All’indomani della tornata elettorale spagnola, l’apertura del quotidiano iberico “El Pais” è stata “Bienvenidos a Italia” ravvisando nel giudizio delle urne un chiaro parallelismo fra l’attuale situazione politica spagnola e quella che invece si è spesso vissuta nel “Belpaese”.
L’undicesima legislatura spagnola rischia infatti di trasformarsi in un rebus inestricabile che potrebbe trascinare il Paese in una spirale di incertezza ed instabilità controproducenti proprio in una fase in cui Madrid sembrava finalmente scorgere all’orizzonte il dischiudersi di una fase di ripresa economica.
In realtà nessuno è sorpreso e nelle settimane che hanno preceduto la tornata elettorale del 20 dicembre scorso, tutti tra sondaggisti ed analisti concordavano sul rischio concreto di veder piombare la Spagna in una situazione post-elettorale senza un vincitore chiaro e di conseguenza, senza un mandato elettorale che attribuisse una maggioranza assoluta tra i pretendenti.
Il quotidiano più venduto in Spagna ripercorre, citandoli, importanti momenti della nostra storia repubblicana ben riassunti da astruse formule e neologismi al 100% “Made in Italy” come “Pentapartito”, “Convergenze parallele” e “Compromesso storico”.
I mercati, si sa, non amano l’incertezza e perciò hanno risposto negativamente con la Borsa di Madrid che registra una perdita superiore al 3,5% anche perché, adesso il rischio è di ritrovarsi in uno “scenario all’italiana però con il grave problema di non avere italiani a gestirlo”.
In realtà si tratta di uno scenario che interessa anche gli altri due principali Paesi dell’Europa del Sud, Grecia e Portogallo. Infatti se i cittadini greci sono stati chiamati ad esprimersi due volte in soli 9 mesi, anche a Lisbona la situazione è assai precaria, dopo la scelta dei socialisti di formare un governo di minoranza con appoggio esterno della sinistra e dei comunisti, estromettendo il partito social-democratico che aveva ottenuto la maggioranza relativa alle urne.
Dalle elezioni spagnole ad emergere con forza è soprattutto un dato: il bipartitismo spagnolo è in fortissima crisi e forse appartiene al passato ormai, dal momento che la somma di due forze a vocazione maggioritaria come il Partito Popolare (28,7%) del premier uscente Mariano Rajoy ed il Partito Socialista (22%), supera di un soffio la metà del consenso, mentre solo nel 2011, oltre il 73% degli spagnoli si era orientato sui due partiti principali.
Comunque andranno le cose in sede di formazione del nuovo esecutivo, è innegabile come il grande vincitore abbia un nome ed un cognome, Pablo Iglesias, segretario e candidato premier di “Podemos” che a meno di due anni dalla nascita del partito, esordisce alle elezioni politiche con uno sbalorditivo 20,7%, arrivando ad un’incollatura dai socialisti.
Ben al di sotto delle aspettative invece l’altro outsider Albert Rivera, leader di “Ciudadanos” (13,9%) che con la sua l’idea di una Spagna unita e indivisibile e di un “governo dei migliori” provenienti dalla società civile o da altri partiti, sembrava aver oscurato negli ultimi mesi gli “indignados” apertamente schierati contro i privilegi della classe dirigente, la corruzione dilagante ed in generale convinti che sia giusto introdurre un referendum obbligatorio su tutti i temi più importanti.
Il moderato Rivera promette che in ogni caso con i suoi 40 deputati si giocherà la sua partita: “Oggi inizia una nuova tappa politica in Spagna, perché milioni di spagnoli hanno deciso che questo Paese deve cambiare”.
Tiene al contrario un profilo più basso il premier uscente Rajoy che spiega come il PP dovrà superare “una tappa non facile e sarà necessario parlare molto e raggiungere accordi”, consapevole dunque che non sarà per nulla semplice conservare la leadership dell’esecutivo, ma al contempo convinto di non volersi sottrarre al tentativo di formare un “governo stabile”.
Agli spagnoli che si sono recati alle urne in massa con un’affluenza oltre il 73%, non sono stati sufficienti i buoni dati sulla crescita economica (+3,6% nel 2015) per confermare la fiducia al governo uscente perché questo miglioramento è rimasto sulla carta e non ha avuto effetti immediati di significativo impatto sociale, soprattutto in termini occupazionali dal momento che la disoccupazione è ancora ferma al 21% e quella giovanile veleggia addirittura oltre il 40%.
E’ evidente come oggi l’unica ipotesi che potrebbe promettere stabilità al Paese e rasserenare i mercati, sembra essere quella di una coalizione di larghe intese che unisca PP e PSOE in nome della governabilità. Nelle scorse settimane Rajoy, pur avendo definito il leader dei socialisti “un politico indecente”, non aveva del tutto chiuso a questa possibile opzione chiosando “ne parleremo lunedì”. I toni dello scontro elettorale tra i due dovrebbero escludere l’eventualità che uno dei due attuali vertici dei partiti principali, possa essere il nuovo primo ministro spagnolo e in questo caso proprio Rajoy si trasformerebbe - in nome del raggiungimento di un accordo col nemico - nell’agnello sacrificale.
A poche ore dallo storico esito elettorale, è lo stesso leader di “Podemos” a fare l’apertura più inaspettata intravedendo un “processo di transizione possibile che porti a un compromesso storico” e che quindi faccia di Pedro Sanchez, leader del PSOE il successore di Rajoy.
L’ex attivista no-global detta però una condizione imprescindibile affinché questo percorso non semplice si renda praticabile, ovvero l’apertura di un referendum sull’indipendenza della Catalogna: “Non c’è dubbio che il referendum sia indispensabile per costruire un nuovo progetto storico e un nuovo progetto comune”.
Iglesias, come riporta “El Mundo”, ha intenzioni chiarissime: “Podemos, agendo sia in modo attivo quanto passivo, non permetterà un governo del PP” anche perché il partito “viola” non teme affatto una nuova tornata elettorale in quanto “se si torna a votare possiamo essere molto ottimisti”.
Il PSOE dal canto suo, pur escludendo un supporto diretto ai conservatori, ha chiarito che un primo tentativo per la formazione di una possibile squadra di governo, spetta a Rajoy.
Ciò però non allontana un’altra possibilità paventata dai più maliziosi che sostengono come ai socialisti sarebbe sufficiente astenersi, per consentire la costituzione di un governo a guida PP, un governo di minoranza debole e facile da tenere sotto scacco. La procedura per la nomina del premier infatti richiede solo alla prima votazione la maggioranza assoluta, vale a dire 176 voti su 350, dalla seconda in poi è sufficiente la maggioranza semplice.
La Spagna si appresta dunque a passare le festività natalizie, senza la certezza di trovare un nuovo governo pronto a guidare il Paese nel 2016. Si tratta di una situazione del tutto anomala, ed è la prima volta nella sua storia che la Spagna, ad urne chiuse, non conosce il nome del suo nuovo presidente.
Adesso i riflettori saranno puntati su re Felipe VI che dovrà cercare una soluzione e ascoltando tutte le forze rappresentate in Parlamento, dovrà capire se esistono - oltre i rumors - possibilità concrete di accordi.
La Spagna volta pagina ma la storia da scrivere è tutt’altro che delineata e, solo il prossimo 13 gennaio, il Re potrà convocare ufficialmente i rappresentanti dei partiti per scegliere la squadra di governo.
Una cosa però è certa, la Spagna dovrà riflettere sull’opportunità di discutere ed approvare una nuova legge elettorale “più proporzionale” perché è evidente come sia assurdo che il PSOE abbia ottenuto 21 seggi in più di “Podemos” con una differenza di consensi in realtà minima (1,3% di voti di differenza) e che assicuri maggioranze certe, proprio come ha recentemente fatto il nostro Paese con l’Italicum.
L’alternativa sarà scoprire cosa significa avere a che fare con il ricatto dei partiti minori, le pratiche di trasformismo parlamentare o approfondire la conoscenza di concetti oscuri come quello delle “maggioranze variabili” e molto probabilmente questo sarebbe ciò di cui ha meno bisogno il Paese.
L’unica certezza rimane l’incertezza perché al momento tutte le carte sono ancora sul tavolo e nessuna opzione può essere esclusa a priori.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it
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