L’uso delle fonti di energia rinnovabile per ridurre emissioni inquinanti, costi e dipendenza da fonti inquinanti e non sostenibili, rappresenta il nodo e la sfida centrale per ogni iniziativa politica che abbia coscienza di quanto sia oggi fondamentale preservare l’integrità e la salute del nostro pianeta.

Nella realtà però e nella stragrande maggioranza dei casi, queste tipologie di intervento sono state utili per allungare la lista dei buoni propositi degli esecutivi nazionali e non per intraprendere azioni concrete ed efficaci capaci di favorire la transizione verso un nuovo modello di sviluppo sostenibile: in sostanza una marcia dai passi timidi e mai troppo convinti, non decisi, determinati e dritti alla meta.

Durante i lavori della COP 21, i 190 Paesi partecipanti hanno discusso a lungo per cercare di definire nuove politiche e strategie per ridurre le emissioni nocive e rallentare il cambiamento climatico. Lo stesso accordo raggiunto, in chiaroscuro fa intravedere nuovi orizzonti ed è evidente come sarà fondamentale per garantire un futuro migliore, un continuo confronto sulle best practices e la costante revisione di azioni ed obiettivi in maniera organica.

L’Uruguay da questo punto di vista rappresenta l’eccellenza in materia avendo già realizzato quello che può essere definito un piccolo miracolo a livello energetico laddove già oggi, il 94,5% del fabbisogno di elettricità proviene da fonti rinnovabili.

Nel piccolo Paese del Sud America gli ultimi 10 anni hanno segnato una vera e propria rivoluzione energetica e oggi le rinnovabili hanno superato le fonti tradizionali di produzione energetica, arrivando ad una quota del 55% nel mix energetico, dato decisamente da sogno soprattutto considerando che la media mondiale è ferma al 12% e quella europea al 20%…

In Uruguay in questi anni non è mancato certamente il coraggio, ma soprattutto non c’è stato alcun problema a mettere in difficoltà le lobbies interessate a mantenere il consumo dei combustibili fossili e proprio per questo motivo - come rimarca il quotidiano britannico “The Guardian” - la COP21 avrebbe dovuto trarre ispirazione dall’Uruguay, che a Parigi ha presentato un programma incredibilmente ambizioso che prevede già entro il 2017, il taglio dell’88% delle emissioni di CO2.

I risultati e i riconoscimenti non mancano e infatti Banca Mondiale, Commissione economica dell’America Latina e dei Caraibi e WWF, hanno nominato la piccola e virtuosa realtà sudamericana “Green Energy Leader” proprio perché - visti i numeri - è incontrovertibile la dinamica in atto e il fatto che: “Il paese stia dando la propria impronta alle tendenze globali di investimento nelle energie rinnovabili”.

Naturalmente i benefici di questa strategia risolutiva nei confronti delle problematiche legate al clima e all’ambiente, ha apportato benefici all’intero sistema sociale ed economico uruguaiano.

Gli investimenti in energie rinnovabili sono aumentati negli ultimi cinque anni arrivando a raggiungere i 7 miliardi di dollari, circa il 15% del PIL nazionale, una cifra cinque volte superiore alla media latinoamericana e tre volte la quota raccomandata dagli esperti a livello globale.

L’impegno delle autorità locali è stato quello di creare condizioni favorevoli capaci di rendere appetibili i progetti agli investitori internazionali fra cui tariffe fisse per 20 anni e bassi costi per la manutenzione degli impianti e tutto ciò ha prodotto naturalmente una grande richiesta da parte delle imprese desiderose di aggiudicarsi gli appalti nel settore consentendo di ridurre di oltre il 30% i costi nell’ultimo triennio.

Tra gli investitori esteri la Germania è in prima fila con Enercon, la terza azienda produttrice al mondo di turbine eoliche che fornisce la più grande centrale del paese quella di Peralta, ma anche l’Italia dice la sua come dimostra la recente inaugurazione del parco eolico “Melowind” di 50 MW di potenza e una produzione annua che sarà di circa 200KW/ora, il risultato di un importante investimento ENEL Greenpower (76 milioni di euro).

La crescita dell’eolico ha anche permesso di ottimizzare lo sfruttamento delle centrali idroelettriche. Le dighe a valle dei bacini artificiali trattengono più a lungo le riserve d’acqua dopo le stagioni piovose, riducendo di conseguenza gli effetti dei periodi di siccità, senza causare alcun impatto sulla produzione complessiva di energia elettrica nel paese.

Più energia prodotta significa indipendenza energetica e - nei casi di surplus energetico - la possibilità di trarre profitti come accaduto la scorsa estate quando l’Uruguay ha rivenduto energia alla vicina Argentina, invertendo la rotta dell’energia rispetto al passato.

Il successo del modello uruguaiano dipende fondamentalmente da tre fattori che vanno individuati innanzitutto nella stabilità politico-economica con un PIL che continua a crescere su base annuale del 3-4% ed un tasso di disoccupazione intorno al 7%; nelle favorevoli condizioni naturali e nella presenza di vento, sole e biomasse ricavate dall’agricoltura e nella presenza di aziende pubbliche forti e proattive che hanno concluso accordi con i privati, coordinando su base statale gli interventi da eseguire.

Queste peculiarità hanno permesso di realizzare questa spettacolare riconversione senza dover costruire nuove infrastrutture eccessivamente invasive per il territorio. Sono state installate numerose centrali eoliche ma non è stato necessario costruire, ad esempio, ulteriori centrali idroelettriche, che spesso richiedono la costruzione di un bacino artificiale e di una diga, generando il deturpamento dell’ambiente circostante.

Proprio in ragione delle peculiarità del Paese che conta appena 3,4 milioni di abitanti, gode di condizioni ambientali che favoriscono l’utilizzo delle fonti rinnovabili ed ha esigenze energetiche limitate, il modello uruguaiano è difficilmente esportabile. Sarebbe però troppo semplice non riconoscere come, quanto realizzato dall’Uruguay, dimostra al mondo intero che con politiche coerenti, stabili e basate su una visione di medio-lungo periodo, si possano ridurre in modo sensibile e strutturale le emissioni nocive generando un vantaggio economico per l’intera società.

Il cambio di prospettiva dovrebbe partire infatti da un cambio di valori capace di affermare - in un mondo nel quale tutto o quasi è misurato in termini di benefici/vantaggi economici - nuove variabili nel giudizio che tengano conto innanzitutto del miglioramento delle condizioni di vita dell’uomo.

Le parole dell’ex Presidente Pepe Mujica pronunciate al Summit di Rio nel 2012, sintetizzano al meglio la diversità nell’approccio al mondo e alla vita:

“Veniamo alla luce per essere felici. Perché la vita è corta e se ne va via rapidamente. E nessun bene vale come la vita, questo è elementare. Ma se la vita mi scappa via, lavorando e lavorando per consumare un plus e la società di consumo è il motore, perché, in definitiva, se si paralizza il consumo, si ferma l’economia, e se si ferma l’economia, appare il fantasma del ristagno per ognuno di noi. Ma questo iper-consumo è lo stesso che sta aggredendo il pianeta”.

In conclusione l’esempio del piccolo Paese sudamericano osservato dalle nostre latitudini, ci insegna come volontà e determinazione gli ingredienti fondamentali per un reale cambiamento, mentre nella capacità di superare discussioni sterili e inconcludenti - soprattutto in materia di politiche energetiche – è il punto di partenza per una rivoluzione possibile, oltre che sempre più necessaria nel rapporto tra uomo e ambiente.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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