L’elevato livello di tassazione è tra i problemi più annosi nel nostro paese, uno dei grandi nodi irrisolti che frena certamente lo slancio imprenditoriale, così come la capacità di attrarre investimenti.

Sono innanzitutto gli italiani, come è noto, a mal sopportare le imposte e così, quando lo scorso luglio il premier Matteo Renzi aveva annunciato l’abolizione delle tasse sulla prima casa per tutti i contribuenti, ben il 90% si era dichiarato d’accordo con il provvedimento, ma solo il 29% era fiducioso sull’effettiva realizzazione della misura. L’impressione è proprio quella di un popolo che brama un alleggerimento fiscale, ma appare al contempo disilluso - oltre gli annunci - sull’effettiva possibilità di realizzazione.

Per gli imprenditori il livello del prelievo statale determina spesso la vita o la morte di un’azienda e le tasse sono di conseguenza vissute come un vero e proprio incubo. Il rovescio della medaglia è invece rappresentato dal fatto che la “convenienza fiscale” va annoverata tra le ragioni principali dei processi di trasferimento e delocalizzazione - totale o parziale - delle imprese e dei processi produttivi all’estero com’è avvenuto negli ultimi decenni.

Da questo punto di vista i dati evidenziati da un recente studio dell’Osservatorio Bilanci del Consiglio nazionale dei Commercialisti in collaborazione con il Dipartimento di Economia dell’Università di Genova, non sono proprio confortanti. L’andamento del “Corporate Tax Rate”, una misura del “peso” delle due principali imposte aziendali - Imposta sul reddito delle società (IRES) e Imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) - evidenzia come nel 2013 lo Stato ha tassato le PMI italiane al 44%, mentre nel periodo 2009-2013 il livello di tassazione è oscillato tra il 41 ed il 51% ovvero molto al di sopra della media Ue.

Lo studio non prende in considerazione l’ammontare complessivo delle tasse sulle PMI, certificato dal “Total Tax Rate” del Doing Business della Banca Mondiale che in Italia, nel 2015 è arrivato addirittura al 65,4%.

La ricerca citata si è focalizzata su tre settori (industria, commercio e servizi) e non considera invece il settore finanziario e le micro imprese, le realtà con meno di 10 addetti e un fatturato inferiore ai 2 milioni di euro. Inoltre l’indice è stato calcolato solo per le imprese che presentano un utile ante imposte, ovvero circa il 75% del totale delle imprese analizzate.

Guardando al futuro prossimo e alla legge di Stabilità 2016 in corso di approvazione, il Consigliere Nazionale dei commercialisti, Raffaele Marcello, si dichiara moderatamente ottimista per la presenza di alcune misure specifiche e perché: “il super ammortamento messo in stabilità dall’esecutivo va nella giusta direzione, anche se sarebbe auspicabile una sua estensione anche agli immobili. Così come, ovviamente, è positivo il taglio dell’IRES, che ci auguriamo possa scattare già dal 2016 (misura che però pare definitivamente slittata al 2017 ndr)”.

Secondo le stime Confartigianato se fossero state approvate tutte le misure presenti nella legge di Stabilità l’effetto positivo per le piccole imprese sarebbe stato consistente e quantificabile in circa 2,5 miliardi.

Il taglio dell’IRES per le piccole imprese sarebbe valso poco meno di 1 miliardo di euro, ovvero più di 1/3 della cifra totale stanziata dall’esecutivo, ma in questi ultimi giorni è stato annunciato che i soldi che dovevano essere impiegati per anticipare al 2016 la riduzione dal 27,5% al 24% dell’IRES, saranno invece usati per effettuare maggiori investimenti in materia di sicurezza con interventi per migliorare il livello della cybersecurity e un bonus da 80 euro in busta paga agli appartenenti alle forze dell’ordine e anche nella cultura, con la previsione di un bonus di 500 euro ai 18enni da spendere in iniziative culturali.

A questo punto le imprese devono augurarsi che saranno confermati tutti gli altri provvedimenti fra i quali bonus per le ristrutturazioni edili e l’efficientamento energetico (500 milioni), agevolazioni fiscali e contributive del nuovo regime forfettario per i cosiddetti contribuenti minimi (400 milioni), incentivi per acquistare nuovi macchinari (300 milioni) e riduzione dell’IRAP (180 milioni).

Il 2015 sta volgendo al termine dunque bisogna iniziare a tirare le somme e, se si da uno sguardo ai dati diffusi dall’Osservatorio Mercato del Lavoro del Centro Studi della Confederazione Nazionale Artigianato e Piccola e Media Impresa (CNA), non è stato un anno così negativo per le PMI. Fra gennaio e ottobre l’occupazione nelle PMI è cresciuta del 3%, mentre la pressione fiscale risulta essere stata leggermente inferiore rispetto al dato fatto circolare dalla Banca Mondiale (che prende in considerazione anche le aziende medio-grandi), attestandosi al 62,2% degli utili.

Anche se siamo ancora lontani da una vera e propria svolta e da uno shock fiscale che tanto farebbe bene a tutto il tessuto imprenditoriale italiano, la situazione appare in leggero miglioramento.

Il Presidente di Confartigianato Giorgio Merletti ben descrive la situazione attuale guardando alle sfide future per imprese e istituzioni:

“C’e molta strada da fare. Innanzitutto bisogna confermare l’abolizione del l’IMU sui capannoni che per noi sono la prima casa e poi sarebbe servito un impegno più attento per tagliare la spesa improduttiva, cosa che, invece, non è stata fatta”.

Nelle prossime settimane si tireranno le somme sul 2015 definitivamente e vedremo cosa il governo avrà realizzato davvero a supporto delle PMI che, non dimentichiamolo, rappresentano la spina dorsale della nostra economia e anche del nostro benessere.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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