L’Argentina da ieri ha un nuovo presidente prontissimo ad archiviare dopo 12 anni l’esperienza peronista portata avanti da Nestor Kirchner prima e successivamente dalla moglie Cristina e il sogno peronista giunge al tramonto.

E’ la prima volta nella storia del Paese che si giunge fino al ballottaggio per deciderne la guida e a urne chiuse, al tramonto di domenica 22 novembre, con la diffusione dei primi dati e degli exit poll è apparso fin da subito chiaro come l’outsider Mauricio Macri, fosse riuscito a far confluire massicciamente sulla sua proposta, anche il voto delle altre opposizioni che al primo turno erano frammentate e divise.

Il leader della coalizione di centro-destra “Cambiemos” e sindaco della capitale argentina, è un acceso sostenitore della necessità di una netta rottura con il passato e si è imposto sul rivale peronista con un distacco certo (oltre il 51% i consensi raccolti) e fin da subito la scelta di discontinuità del popolo argentino è apparsa netta, non era affatto scontata.

Quel che è certo è che nella notte di Buenos Aires è risuonato il grido “Mauricio Presidente” in un clima di festa e con i simpatizzanti di quello che già è definito “macrismo”, liberi di festeggiare e pronti ad iniziare la sfida. E’ stato Marcos Peña, uomo chiave del neo-presidente ad esternare a chiare lettere da subito la soddisfazione: “Siamo molto, molto, felici per quanto è successo oggi in Argentina”.

Al primo turno lo scorso 25 ottobre l’erede designato, il governatore della Regione di Buenos Aires, Daniel Scioli si era fermato al 36,8% cogliendo un risultato ben al di sotto delle aspettative e lontanissimo dal plebiscito della rielezione della “Presidenta” nel 2011 (54%). Al contrario lo sfidante aveva raggiunto il 34,3% andando ben oltre le più rosee aspettative.

Il neo-presidente durante la campagna elettorale ha costruito il consenso attaccando a testa bassa la Kirchner e la sua politica sociale ed economica.

Scioli ha scontato invece la mancanza di carisma dei predecessori e le ambiguità del suo passato essendo stato legato ad un ex pessimo Presidente come Menem oltre ad aver dovuto scontare l’arrivo tardivo della sua candidatura.

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Sono in molti a sostenere che Macrì invece abbia tutte le caratteristiche per l’avvio di una stagione che potrebbe lasciare il segno per lungo tempo nella scena politica argentina e per certi versi ricorda anche la vicenda del berlusconismo in Italia essendo stato presidente del Boca Juniors, una legenda e forse uno dei brand argentini più conosciuti nel mondo. Titolare di diverse attività imprenditoriali, ha provato a imporre - ed è riuscito a conquistare la fiducia del suo popolo - una spregiudicata innovazione comunicativa sulla narrazione e la biografia della nazione argentina, terza economia del continente latinoamericano che da anni vive una crisi a tratti di identità che ha incrinato la fiducia, ma anche le relazioni sociali ed umane, mentre la destra ha puntato le sue fiches su paura, immigrati e una visione di sicurezza, anzitutto individuale e della propria famiglia.

Dall’altro lato Scioli nelle ultime fasi della sfida, ha lanciato una sfida aperta che ha messo di fronte i cittadini la scelta tra due Paesi, distinguendo quello che ha difeso i diritti umani e quello che ha coperto gli orrori della dittatura, quello che ha difeso l’indipendenza economica e quello che vuole la subordinazione all’economia nordamericana, quello che ha promosso le tutele sociali ed aspira a superare le diseguaglianze e quello che ripropone l’austerità neoliberista.

Quel che è certo è che le sorti argentine sono rilevanti strategicamente in tutta l’America Latina e unito alle evoluzioni in atto negli altri importanti Paesi del continente (Brasile, Venezuela, Cuba), la vittoria di Macrì potrebbe rappresentare secondo molti l’inizio della fine per un ciclo che ha visto il diffondersi di esperienze alternative e cooperanti fondate su un forte protagonismo popolare, sempre al limite del populismo.

Oggi la difficoltà per molte di queste esperienze è nella capacità di confrontarsi con sfide globali e con una crisi che nasce nel mondo della finanza.

In questi anni, mentre in Europa ci si è crocifissi sul debito e sull’austerità per una crisi che l’economia reale ha subito e non generato, nel continente latinoamericano - con tutti i limiti – si è provato a sperimentare una visione avanzata di politica sociale, non a caso spesso in aperto conflitto con le stesse istituzioni finanziarie internazionali.

L’esito del voto argentino, oltre alla fine di un ciclo e della telenovela Kirchner, dimostra come non siano mancate certamente ingenuità, contraddizioni ed errori che da ieri si sono concretizzati nel tramonto di una leadership che da oltre un decennio aveva guidato l’ennesimo risollevamento dell’economia argentina dopo il crak di inizio millennio.

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Da oggi invece il vento e il credo cambia in Argentina con l’inizio del nuovo corso liberale - basato su programmi marcatamente ‘pro-business’ - di Mauricio Macrì al quale va il merito di essere riuscito a consolidare una coalizione vincente tra il suo partito (Propuesta Republicana - PRO) e due forze centriste (i Radicali e Coalicion Civica) che lo ha reso in posizione ben più chiara rispetto a Scioli che ha condotto una campagna proponendosi in maniera a tratti schizofrenica, come l’uomo del rinnovamento peronista ma anche come quello della continuità con la “Dinasty Kirchner”.

Il compito sarà arduo e la rinascita del Paese si gioca sul terreno dell’economia e sulla riapertura della terza economia del continente sudamericano. La percezione da parte di molti è sulla profondità del cambiamento in atto.

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L’era Kirchner in particolare negli ultimi 8 anni è stata caratterizzata da un semi-isolamento dal contesto internazionale, politiche monetarie fuori controllo, alta inflazione, spesa pubblica in aumento, scontro con gli investitori stranieri e una vera e propria guerra contro i fondi americani, creditori di poco più di 1,5 miliardi di dollari.

Per dimostrare l’impatto della sua visione in campo economico e finanziario, Macri ha promesso in campagna elettorale che fin dal prossimo 10 dicembre, giorno del suo insediamento, ordinerà la libera fluttuazione del peso sul mercato dei cambi per riallinearne il rapporto con il dollaro a quello reale, che sarebbe svalutato del 40%, e si è detto pronto fin da subito anche a rimuovere i controlli sui capitali.

In generale quello che si prevede è che il nuovo Presidente si faccia promotore di uno smantellamento rapido delle misure più controverse lasciate in eredità dalla Presidente, e agirà fin da subito sulla rimozione delle restrizioni a importazioni ed esportazioni e sull’abbattimento delle imposte sui commerci internazionali, mentre si cercherà un accordo con i fondi creditori statunitensi e obbedendo alla visione liberale, eliminerà i sussidi alla popolazione, pur mantenendo quelli per le fasce meno abbienti perché come ha dichiarato fin da subito, a risultato acquisito per dare una gioia ai suoi elettori ma anche per iniziare a presentarsi a chi vede in lui il prossimo nemico da battere, nel Paese e nel Continente:

Metterò tutta la mia energia per costruire l’Argentina che sogniamo, con una povertà zero. Lo dico ai fratelli dell’America Latina, del mondo, vogliamo avere buone relazioni con tutti i Paesi, vogliamo lavorare con tutti”.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Antonio Passarelli, redazione@exportiamo.it

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