Come abbiamo recentemente approfondito con il focus ISPI ed il report fDi Intelligence, spesso quando si parla di Africa, si tende a generalizzare e a fare confusione.

Il continente africano si sviluppa su una superficie territoriale amplissima caratterizzata da una grande varietà di climi e ambienti, dai deserti alle savane, fino alle le foreste pluviali e gli Stati africani (54) superano per numero quelli statunitensi (50), naturalmente molto diversi se si osservano nello specifico i differenti contesti sociali, economici e politici.

Nell’ottica di colmare questo vuoto di consapevolezza Confindustria ha organizzato sul territorio nazionale un Roadshow dedicato ai mercati africani più interessanti, sia per opportunità di business che per la presenza di linee di credito e finanziamenti per incentivare gli investimenti.

Lo scorso 12 Novembre durante la tappa a Roma presso la sede di Unindustria, al centro dell’attenzione c’è stato l’Angola, paese complesso che presenta certamente criticità non indifferenti, ma al contempo offre peculiari opportunità.

Nel caso dell’Angola e di altre realtà africane, nell’approcciare il mercato è forse meglio parlare di sfida oltre che di opportunità. Persistono infatti debolezze strutturali ancora irrisolte a partire dalla ricostruzione avviata alla fine della guerra civile nel 2002 e ancora in itinere, passando per l’inefficienza amministrativa e la forte ed eccessiva dipendenza dal settore Oil&Gas come dimostra la fase di difficoltà economica dovuta alla brusca caduta dei prezzi del petrolio.

Non bisogna dimenticare poi l’elevato livello di corruzione che vede nel 2014 il Paese in 161° posizione su 175 nel ranking stilato da Transparency International, la scarsa formazione professionale e l’elevatissimo costo della vita che si registra in particolar modo nella capitale del paese, Luanda, che è una delle città più care al mondo.

Per tutti questi motivi l’Angola non è un buon paese per gli imprenditori che hanno una prospettiva di guadagno di breve termine, ma può offrire una miniera di possibilità per chi invece vuole effettuare investimenti in una prospettiva di medio-lungo periodo.

L’Angola si estende su una superficie quattro volte superiore a quella italiana e a livello amministrativo è divisa in 18 regioni i cui governatori mantengono contatti diretti con il Presidente della Repubblica. La popolazione è inferiore ai 25 milioni di abitanti anche perché decimata dalla recente guerra civile e non ci sono particolari divisioni etniche, linguistiche o religiose: gli angolani possono essere considerati dei cattolici integralisti e parlano solo ed esclusivamente la lingua portoghese, anche per questo è complicato pensare di fare business senza l’appoggio di un nativo.
I principali punti di forza del paese vanno identificati nella ricchezza di risorse naturali e oltre al petrolio il Paese è il 4° produttore su scala globale di diamanti, così come da alcuni punti di vista la stabilità politica, con una compagine governativa quasi invariata da tredici anni ed un bacino idrografico incredibile che, se opportunamente sfruttato, potrebbe diventare una vera e propria autostrada commerciale del continente.

Sono già partiti importanti progetti a livello infrastrutturale relativi alla ristrutturazione ed ammodernamento di 5 porti, alla ferrovia che attraversa il Paese da Est a Ovest e al completamento dell’aeroporto internazionale di Luanda affidato ad investitori cinesi.

E l’Italia? Il direttore dell’Agenzia ‪ICE‬ a ‪Luanda‬, Milena Del Grosso, ha sottolineato come:

“L’‪‎Italia‬ fino a qualche mese fa non sapeva neanche dove fosse collocata l’Angola sulla cartina geografica ma forse, finalmente, qualcosa comincia finalmente a muoversi”.

Al viaggio a Luanda del premier Renzi nel luglio 2014 ha fatto seguito l’apertura di un ufficio dell’Agenzia nel novembre 2014 e la visita a Roma del presidente angolano José Eduardo dos Santos lo scorso mese di luglio. ‬‬

I settori più interessanti per il nostro paese sono cinque: agroalimentare (l’Angola è il maggior consumatore pro capite di champagne e il nostro prosecco potrebbe essere molto apprezzato), meccanica in particolare la filiera della meccanizzazione agricola, siderurgico, moda e cura della persona e nautico.

Agricoltura, pesca, nautica ed allevamento rappresentano dei settori nei quali Angola ed Italia potrebbero formare una joint venture naturale unendo l’enorme disponibilità di materie prime del paese africano il nostro know-how e la nostra tecnologia da mettere a disposizione per uno sfruttamento ottimale e sostenibile.

Obiettivo del seminario è stato anche illustrare il Programma Indicativo Nazionale (PIN) sottoscritto tra governo angolano e Commissione Europea lo scorso 26 ottobre e che prevede uno stanziamento pari a 210 milioni di euro fino al 2020.

Nello specifico, al fine di migliorare le condizioni di vita del popolo angolano e di diversificare l’economia del paese sono stati stanziati 45 milioni di euro per formazione professionale, 84 per progetti di agricoltura sostenibile, 65 per migliorare l’accesso e la fornitura di acqua potabile, 16 per progetti dedicati alla società civile e al rafforzamento delle istituzioni.

In questo campo specifico, l’Italia può solo far di meglio rispetto al recente passato perché nel 2014 ha usato solo l’1% delle risorse messe a disposizione dall’Ue per i programmi di cooperazione e sviluppo, superata anche dal Lussemburgo (1,2%) e surclassata dalla Germania (45%).

L’Angola non è una realtà facile ma noi italiani possiamo far leva anche su una certa riconoscenza dal momento che siamo stati il primo paese occidentale a riconoscere l’indipendenza dello stato angolano è quindi sacrosanto giocarci le nostre carte per affermarci in un Paese che oggi e ancor di più nel futuro prossimo - per chi è disposto a raccogliere la sfida - avrà grosse opportunità da offrire.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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