Nel concludere l’introduzione all’ultimo Rapporto ISPI “Africa: Still Rising?” presentato ieri a Roma, il Direttore del think thank Paolo Magri, dopo aver passato in rassegna interrogativi, impressioni e riflessioni che emergono dal volume e provando a rispondere all’interrogativo posto dal volume, cita Winston Churcilll e la sua metafora dell’aquilone pronunciata durante i raid dell’aviazione nazista su Londra:
“Gli aquiloni volano più alti contro-vento, non con esso”.
Strano destino quello del continente africano troppo spesso relegato a visioni dogmatiche condizionate da trend e mode e - per rimanere nella metafora - dalla direzione del vento.
Nel nostro recente approfondimento dedicato al “The Africa Investment Report 2015” di fDi Intelligence, abbiamo visto come la sfida per tutti oggi sia quella di riuscire a convertire un boom economico decennale in una traiettoria di crescita più a lungo termine.
Ad essere messo in discussione è l’intero percorso di sviluppo che negli ultimi anni ci aveva ormai abituato a nuove immagini e nuovi numeri in grado di affermare una nuova narrazione sul continente africano.
Nel dicembre 2013 l’invito da parte dell’ISPI era “Scommettere sull’Africa Emergente” individuando - su input del Ministero degli Affari Esteri - otto paesi prioritari (Angola, Etiopia, Ghana, Kenya, Mozambico, Nigeria, Senegal e Sudafrica) partner possibili per poter mettere in campo una diplomazia della crescita in Africa Sub-sahariana.
Oggi è prioritario indagare su come queste economie stiano affrontando i rischi politici ed economici e l’interrogativo di partenza è legittimo e nasce dai mutamenti in atto che - dopo 15 anni di relativa stabilità e crescita (in media il 5,5% annuo) - pongono il continente africano di fronte a nuove sfide quali il riaffiorare di conflitti armati e la crescita della minaccia e dell’offensiva jihadista e il crollo dei prezzi delle materie prime, capaci di comprometterne i progressi ma che impongono necessariamente la creazione di partnership forti e credibili, in grado di fare del continente un vero attore delle dinamiche globali.
In sintesi il Rapporto sostiene che l’impatto economico generale di questi sviluppi è tutt’altro che positivo, ma la traiettoria di crescita generale vissuto dalla regione sub-sahariana negli ultimi anni non verrà completamente annullata.
Nel I^ capitolo John Heilbrunn mette in risalto il ruolo del petrolio nelle economie della regione sub-sahariana - sia per i paesi esportatori di petrolio tradizionali che per i produttori di nuovi e potenziali - focalizzando l’attenzione sulle performance di crescita post-2000 ed evidenziando come nel corso degli ultimi quindici anni, il numero dei paesi esportatori di petrolio sia cresciuto notevolmente, così come la presenza di investitori stranieri, con la Cina in testa e il suo ruolo prorompente in grado di far cadere dinamiche consolidate nei rapporti con gli stati produttori.
L’Africa sub-sahariana è una regione esportatrice netta di materie prime e naturalmente - soprattutto nel breve periodo - il calo del prezzo del petrolio e più in generale la fine del “super-ciclo delle commodities” influiranno negativamente, ma come sostiene nel II^ capitolo del volume curato da Giulia Pellegrini di JP Morgan, queste criticità possono creare nuove opportunità e incentivi per una crescita più sostenibile nel lungo periodo e la parola chiave è diversificazione economica, strategia chiave per incassare il “dividendo demografico” ed evitare che si trasformi in una “bomba a orologeria demografica”.
Tuttavia, i prezzi delle materie prime e la crescita economica sono ben lungi dall’essere le uniche sfide che l’Africa sub-sahariana deve affrontare attualmente e gli interrogativi sono tanti, gli eventi in continua evoluzione e le sfide molteplici per gli stati africani, per l’Unione europea e anche per il nostro paese.
Nel III^ capitolo Jakkie Cilliers dimostra come - dopo un trend decrescente iniziato alla fine del 1990 - la violenza politica in Africa stia crescendo nuovamente. Emerge un importante divario tra l’Africa del sud, dove i conflitti tendono ad essere più circoscritti e contenuti all’interno dei confini nazionali, e altre aree, compresa l’Africa occidentale e centrale dove il terrorismo - in particolare Boko Haram in Nigeria e Al Shabaab in Somalia - rappresenta una quota ampia e in continua espansione del riemergere della violenza politica in Africa.
Il IV^ capitolo Leena Hoffmann si focalizza sulla situazione attuale in Nigeria, l’economia più importante del continente, provando a mettere insieme la caduta del prezzo del petrolio e la minaccia rivolta da Boko Haram nel nord-est. Emerge come il paese non sembra aver imparato molto dal suo passato e un decennio di crescita dei profitti derivanti dalle esportazioni di materie prime, ha avuto solo un impatto limitato sulla povertà. Vengono quindi delineate le sfide per il nuovo governo nigeriano che passano certamente dalla diversificazione dell’economia, dalla redistribuzione della ricchezza e dalla riduzione del divario di sviluppo tra il relativamente più abbiente sud-ovest e l’impoverito nord-est.
Il V^ capitolo di Giovanni Carbone, curatore della pubblicazione, trae alcune conclusioni dai capitoli precedenti e sottolinea come le due sfide principali che oggi sta affrontando il continente africano mettano in luce da un lato con il calo dei prezzi delle materie prime, la debolezza di molte economie africane; dall’altro con l’instabilità in aumento derivante dal crescere della minaccia jihadista, si sottolinea il deficit di capacità di governance di molte realtà africane. L’analisi - riprendendo il precedente rapporto del 2013 - si focalizza poi sugli otto mercati strategici (Angola, Etiopia, Ghana, Kenya, Mozambico, Nigeria, Senegal e Sud Africa) che continuano a offrire importanti promesse e opportunità economiche, evidenziando come dipenderà dalla capacità di adattamento alle nuove condizioni esterne e dalla promozione di riforme economiche e istituzionali in grado di affrontare le problematiche interne.
In conclusione ad emergere dal rapporto e dagli interventi dei relatori intervenuti alla presentazione romana, è la necessità di una presa di coscienza della complessità che anima il continente africano, affermando la capacità di andare oltre la percezione unitaria e distorta di un continente troppo spesso vittima di semplificazioni e pregiudizi. Si tratta di un appello per una nuova valutazione del potenziale dei settori ad alta crescita, nonché un invito per gli stessi paesi africani a prender coscienza del “new normal” dei prezzi bassi delle materie prime. La diversificazione è la chiave per ridurre la vulnerabilità dagli shock commerciali, ma serve anche intervenire sulla stabilità macroeconomica di molte realtà per gettare le basi della stabilità futura.
Bisogna essere capaci di indagare le cause profonde dei conflitti vecchi e nuovi sul continente per contribuire sia all’affermazione del buon governo e garantire una crescita economica inclusiva e in questo un ruolo fondamentale è in capo alla classe dirigente delle economie avanzate e delle istituzioni multilaterali che devono essere capaci di sostenere questi processi, promuovendo il commercio e gli investimenti nella regione.
In conclusione l’Africa emergente non è svanita tutto ad un tratto per lasciar spazio ad una nuova narrazione catastrofica dopo la parentesi della favola a lieto fine degli ultimi anni.
Le opportunità sono molte nel continente in settori (infrastrutture, energia e agricoltura) dove il nostro paese in primis ha tanto da offrire se sarà capace di rilanciare un percorso di collaborazione e dialogo concreto e paritario e non più basato su doni e regalie andando oltre la visione della cooperazione classica anche perché ormai il continente africano - come dimostra lo stesso summit Ue-Africa sull’immigrazione in corso in questi giorni a Malta – deve essere coinvolto con un ruolo da protagonista nell’affrontare questioni globali che interessano il futuro di tutti.
Il rallentamento è evidente, ma il percorso è ormai tracciato ed è fondamentale saper distinguere criticamente e con cognizione di causa - ricordando innanzitutto che sono 54 gli stati africani - tra gli asset strutturali di ogni realtà e le negatività del momento.
Il successo in Africa come altrove è sempre nella capacità di creare partnership forti e affidabili e nell’affermazione di un’ottica di medio-lungo periodo, animati dalla coscienza che il lungo-termine e lo sviluppo devono essere la prospettiva ottimale per tutti, perché per riuscire ad andare controvento o addirittura infischiarsene del vento, serve l’impegno di tutti con continuità nell’azione, nell’analisi e nelle relazioni.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Antonio Passarelli, redazione@exportiamo.it
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