La manifattura italiana risale la china e lentamente riprende ad essere il motore della ripresa economica nel nostro Paese, è questo il messaggio chiaro e ottimista che emerge dal recente rapporto a cura del Centro Studi Confindustria “Produzione e Commercio: come cambia la globalizzazione. La manifattura italiana riparte su buone basi”.
Il settore manifatturiero rappresenta a giusta ragione il perno dello sviluppo industriale italiano, un vantaggio competitivo non solo rispetto ai player europei, ma anche a livello mondiale e a dirlo, sono i dati.
La Germania certamente rimane leader continentale con una quota percentuale sulla produzione mondiale del 5,3%, l’Italia in Europa è al secondo posto con una quota del 2,5%, davanti gli altri importanti partner/competitor (Francia, Regno Unito e Spagna).
A livello globale l’Italia occupa invece l’ottava posizione e tiene bene quindi rispetto ai competitor mondiali che registrano un appiattimento delle loro quote nazionali sulla produzione industriale dovuta anche a un rallentamento dell’avanzata dei paesi emergenti, arretra il Brasile, mentre la Russia paga sanzioni e controsanzioni sul suo conto economico. La Cina invece mantiene il suo slancio dirompente e in meno di 15 anni la quota del 2000 (8,3%) è quasi triplicata, arrivando al 32,8% del 2014.
Dall’analisi settoriale emerge invece come, l’industria italiana, seppur mantenendo e rafforzando la sua quota nazionale a livello generale, a causa del profondo mutamento del quadro generale, subisce comunque una contrazione nell’agroalimentare (-4,3%) e cali ancora più vistosi nel legno (-53,%) e nel tessile (-35%), con un calo medio del 24% e solo il settore farmaceutico registra una performance positiva (+8,9%).
La caduta delle quote produttive si giustifica in primis con il calo della domanda, causa del crollo dei redditi familiari che ha in molti casi arrestato il processo di crescita di molte produzioni nazionali favorendo l’import da paesi a basso costo, in secondo luogo deriva invece da una sproporzione nei livelli di industrializzazione dei diversi territori del Paese con da un lato le province settentionali che registrano aumenti della capacità produttiva e dall’altro le province meridionali che hanno subito un arretramento della produzione con punte prossime al 30%.
Altro fattore determinate di queste oscillazioni al ribasso, è il costo del lavoro per unità di prodotto che è cresciuto a ritmi costanti nonostante il cambio di marcia della produttività, erodendo redditività alle aziende.
Nonostante il mutevole scenario esterno caratterizzato a livello globale dal rallentamento degli scambi internazionali e dalla caduta del prezzo delle commodities e a livello europeo dal nuovo riassetto e distribuzione territoriale delle produzioni manifatturiere, l’Italia ha solide basi per rilanciare il suo sviluppo.
Ritornando ad un confronto diretto con il nostro primo competitor europeo, leader anche a livello di visione strategica nella previsione e applicazione di efficaci politiche industriali, è da registrare un cambio di passo del sistema Italia nella propensione ad innovare.
Le nostre imprese sono seconde anche in questo caso solo a quelle tedesche e sorprendetemente prime in innovazione di processo e proprensione ad investire, anche se rimane ancora timida la quota capitale destinata alla ricerca e all’innovazione pur tuttavia con punte di eccelenze destinate ad ampliarsi.
Un importante driver che mostra vitalità e forza competitiva è rappresentato dall’export e come emerge dal Trade performance index l’Italia è al primo posto nei settori classici del “Made in Italy”: tessile, abbigliamento, cuoio, pelletteria, calzature e alimenti lavorati. Nel 2014 le esportazioni sono aumentate in volume del 3,4%, dopo un +0,9% del 2013 e continua la tendenza positiva nel 2015, con un +2,4% nei primi mesi sul semestre precedente.
Il nostro export negli ultimi anni è cresciuto in mercati in cui siamo relativamente specializzati, in particolare negli Stati Uniti e in alcuni Paesi della cosiddetta “Europa emergente” (Romania, Croazia e Turchia).
Il quadro delineato dal Centro Studi è ricco di sfumature e analisi puntuali sulle nostre debolezze sistemiche ma, come abbiamo visto, mostra un territorio fertile con molteplici potenzialità e capaci di resistere ai sempre più repentini cambiamenti esterni.
Serve focalizzarsi sui nostri punti di forza con interventi sistemici e coordinati e sui processi di internazionalizzazione delle nostre imprese, e non solo sull’export, è strategico per superare nuove barriere, snellire la logistica e intercettare i mutamenti della domanda.
Bisogna essere capaci di promuovere la diversificazione produttiva per fare emergere nuove competenze già presenti nella nostra società, così come riuscire a compiere un’attenta analisi del ciclo delle commodities per evitare sorprese, ma soprattutto bisogna puntare sull’innovazione e cavalcare il paradigma dell’Industria 4.0 riuscendo ad essere capaci di ripensare la politica industriale. Si tratta di misure necessarie per poter essere in prima linea nelle prossime e importanti sfide future.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Annarita Summo, redazione@exportiamo.it
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