I conservatori euroscettici polacchi del partito “Diritto e Giustizia” (Prawo i Sprawiedliwość - PiS) hanno stravinto le elezioni e dopo otto anni di dominio, il partito del Presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, “Piattaforma Civica” (Platforma Obywatelska - PO) perde la maggioranza dei seggi del Parlamento polacco e la guida del governo del Paese: si vira a destra.

Sono stati poco più della metà degli aventi diritto (51%) a recarsi alle urne, dato comunque in crescita rispetto al 2011, e ad uscire sconfitta dal confronto tutto in rosa è stata la premier uscente Ewa Kopacz (PO), surclassata da Beata Szydło, premier designata del partito conservatore creatura di Jarosław Kaczyński che con oltre il 39% dei voti potrà contare sulla maggioranza assoluta dei seggi con ben 242 seggi.

È dal 1989 che un partito politico non ottiene la maggioranza assoluta dei seggi e il dubbio per tutti è comprendere quanto nella realtà di ogni giorno la neo-premier sarà in grado di mantenere la sua indipendenza da Kaczyński, vero leader indiscusso del PiS.

Il crollo dei moderati e della sinistra era nell’aria, mentre il trionfo del PiS in linea con il trend che ha visto ingrossarsi le fila dei conservatori a partire dalle elezioni europee, consolidandosi poi con l’elezione di Andrzej Duda alla carica di Presidente della Repubblica lo scorso mese di maggio.

“Piattaforma Civica” alla guida dei moderati e del governo del paese negli ultimi otto anni, non è stata capace di dimostrare ai propri elettori quanto di buono sia stato fatto nel paese e per il paese.

A partire dal 2008 il PIL della Polonia è cresciuto notevolmente (+24%) e anche nell’anno in corso come nel 2016 la prospettiva è di continua crescita, con una stima che va oltre il 3% e la disoccupazione che si attesta al di sotto del 10%.

Secondo gli analisti l’esito delle consultazioni muterà il ruolo della Polonia in Europa.

In realtà la quasi totalità dei polacchi si dichiara europeista (91%) anche perché ben cosciente di cosa abbia significato in questi anni il sostegno dell’Unione per il Paese che dal 2007 al 2020 ha ricevuto finanziamenti per 180 miliardi di euro, ciò nonostante l’idea di essere oggi costretti ad accettare le quote di rifugiati imposte da Bruxelles non riscuote successo a Varsavia e dintorni.

Jarosław Kaczynski, padrone del PiS così come la futura premier Beata Szydło, guardano alle politiche dell’ungherese Orban come modello da seguire.

A livello regionale l’obiettivo è rafforzare la cooperazione in seno al “Gruppo di Visegrad” (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) per aumentarne il potere negoziale e di opposizione ai diktat dei grandi Paesi in seno all’Ue.

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La campagna elettorale ha puntato in realtà a promuovere una piattaforma programmatica con ricette semplici e dirette.

L’obiettivo strategico è stato raccogliere il consenso di quella parte della popolazione che si sente ancora esclusa dal processo di crescita economica e per questo motivo l’obiettivo è l’espansione della spesa pubblica, l’aumento del salario minimo, la riduzione dell’età pensionabile e un maggiore sostegno per le famiglie con un contributo di circa 120 euro al mese per ogni secondo bambino fino a 18 anni, mentre si prevede di aumentare le tasse per banche, imprese straniere e centri commerciali.

Sul piano economico il punto saldo è il rafforzamento dei poteri dello stato in economia ed una ferma opposizione all’ingresso del Paese nell’area euro.

Lo stato polacco dovrà sostenere le piccole e medie imprese locali prevedendo sgravi fiscali per riequilibrarne la competitività rispetto alle multinazionali e le risorse necessarie dovranno essere ricavate dall’introduzione di un’imposta speciale sulle catene della grande distribuzione internazionale.

Ulteriore motivo di attrito con Bruxelles - oltre all’immigrazione - sarà invece quello relativo alla politica energetica perché a Varsavia sono fermamente convinti che il carbone deve rimanere la principale fonte di energia e l’obiettivo è quello di negoziare una propria posizione sulla lotta ai cambiamenti climatici.

Sul piano interno si punta a modificare l’assetto istituzionale attraverso la promozione di riforme costituzionali in materia di poteri dello Stato e in particolare con la previsione di aumentare i poteri del presidente per consentire di governare anche con decreti e mettere sotto il controllo politico il sistema giudiziario, attualmente indipendente.

Sul fronte militare Varsavia vuole sempre di più rappresentare il pivot fondamentale per la Nato nella regione e proporsi definitivamente come Paese leader nell’Europa centro-orientale. Non dispiace la prospettiva di più basi della NATO nel Paese e in campagna elettorale è stato dichiarato come bisogna incrementare fino al 2,5% del PIL la spesa per il potenziamento dell’esercito e della difesa, rendendo l’occasione di questo rinnovamento un’opportunità per l’industria nazionale e non per i grandi player internazionali, come ha promesso Kaczyński stesso.

Il verdetto elettorale polacco dimostra come nel “Vecchio Continente” la risposta a minacce e sfide da affrontare in maniera cooperativa e partecipata, sia rappresentata dalla ripresa dei nazionalismi, una spirale estremamente pericolosa che confonde la reale natura dell’obiettivo comune a governanti e governati, ovvero vivere tutti insieme cercando di migliorare l’esistente in una dimensione globale nella quale i singoli stati non possono reggere la competizione. Il rischio concreto è l’arroccarsi nelle proprie fortezze dimenticando in fretta storia e passato e disattendendone colpevolmente le lezioni.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Antonio Passarelli, redazione@exportiamo.it

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