Recentemente abbiamo avuto modo di approfondire l’universo ASEAN soprattutto perché ad aumentare é l’interesse verso l’evoluzione del processo di integrazione regionale e le opportunità che - come ben illustrato dallo studio dell’Osservatorio Asia realizzato in collaborazione con l’ICE-Agenzia in primavera – le nostre imprese devono essere in grado di cogliere, allargando innanzitutto i propri orizzonti.
In gioco c’é un mercato da 620 milioni di abitanti con un PIL che supera i 2.400 miliardi di dollari che però deve comunque fare i conti con non poche contraddizioni al proprio interno, non solo sul piano economico ma anche su quello democratico.
L’Associazione degli Stati del Sudest asiatico (ASEAN) e i suoi 10 stati membri (Laos, Vietnam, Cambogia, Myanmar, Thailandia, Malesia, Singapore, Indonesia, Filippine e Brunei) si avvicinano però sempre di più all’obiettivo, ovvero alla creazione di una Comunità economica dell’ASEAN (AEC).
L’esempio storico da seguire é quello della “nostra” Unione europea, cercando però di non sbagliare, per questa ragiona - ad esempio - non é assolutamente in questione la creazione di un’unione monetaria in un contesto con differenze politiche, economiche e sociali a tratti abissali.
Il progetto punta innanzitutto a favorire una più libera circolazione di beni, servizi, capitali, investimenti e lavoratori. Il tutto però limitatamente ai lavoratori più qualificati e in una serie di settori ben definita (operatori turistici, ingegneri, infermieri, dentisti, medici, servizi architettonici, contabilità).
Per creare il mercato unico questo é giustamente considerato un fattore essenziale e su questo obiettivo si concentreranno gli sforzi fino al 2018, oltre a favorire una maggiore integrazione dell’area all’interno dell’economia mondiale.
Lo sviluppo non può che passare dal favorire un’evoluzione competitiva tra gli stati membri, tale da garantire un avvicinamento delle norme su tassazione, e-commerce, protezione dei consumatori e tutela della proprietà intellettuale, con un occhio di riguardo allo sviluppo e al sostegno delle PMI.
Il progetto di integrazione che entro il 2015, secondo la road map attuale dovrebbe diventare realtà, risale al 1997 quando si decise di puntare in maniera decisa in direzione dell’integrazione, ponendo un orizzonte realistico per realizzare il progetto nel nel 2020.
La concretezza dell’impegno politico assunto, ha trovato riscontro nella velocità con cui le tariffe commerciali sono state tagliate negli anni successivi (in media dal 2,7% del 2007 allo 0,5% del 2014) favorendo di conseguenza un anticipo sui tempi per il lancio della Comunità alla fine del 2015 e di conseguenza nei prossimi mesi, le restrizioni commerciali dovrebbero scendere ancora.
Un recente Rapporto Euler Hermes ha provato a “fare le pulci” al progetto e ha verificato come in realtà sono stati raggiunti già il 90,5% degli obiettivi fissati. L’obiettivo per fine anno é quota 95%.
Nella realtà già gran parte delle merci sono sottoposte a una politica di totale liberalizzazione commerciale solo però, all’interno delll’epicentro l’ASEAN-5 (Indonesia, Malesia, Filippine, Thailandia e Vietnam).
L’obiettivo a regime dovrà essere raggiunto anche dagli altri Stati membri.
Naturalmente in un mondo così complesso se su numeri e quote il lavoro é relativamente più semplice, lo stesso non può dirsi per le barriere non tariffarie: qui il raggiungimento dell’obiettivo richiederà certamente più tempo.
Le stime e gli studi sugli abbattimenti degli ostacoli al commercio promettono però consistenti guadagni in termini economici e se solo nel 2015 e nel 2016 le barriere scendessero del 10%, l’export AEC potrebbe aumentare di 13,7 miliardi di dollari, in gran parte destinato a mercati extra-AEC.
A livello settoriale invece, il processo di integrazione favorirà certamente elettronica, chimica, automotive e agri-food.
L’ASEAN pesa per il 30% nell’export globale di elettronica in ragione del basso costo del lavoro e dell’efficiente catena del valore che é già realtà, senza integrazione; mentre chimica e biotecnologie contano su ampie risorse naturali e sono attualmente al centro della politica economica di due “membri di peso” come Malesia e Singapore.
In altri settori invece la concorrenza “occidentale” non é sostenibile.
Nella meccanica ad esempio, i concorrenti siamo noi e l’aumento della domanda locale necessariamente legata allo sviluppo economico e infrastrutturale della regione, é certamente e necessariamente un’ottima opportunità per gli esportatori europei ed italiani.
Non bisogna sottovalutare al contempo i rischi, a maggior ragione come visto in una regione caratterizzata da dislivelli economici, democratici e sociali da montagne russe e l’eventuale “abbandono morale” del progetto da parte dei membri di peso per favorire l’approccio bilaterale nei confronti di vicini ingombranti quali Cina e Giappone.
Insomma i rischi e le opportunità come sempre non mancano e l’Italia - come sempre - é chiamata in causa, perché abbiamo qualcosa da dire e da dare e il mondo lo sa!!!
Fonte: a cura di Exportiamo, di Antonio Passarelli, redazione@exportiamo.it