Gli ultimi dati dell’Osservatorio di Vinitaly “Wine2Wine” e dell’Osservatorio Nomisma “Wine Monitor” confermano la buona salute del settore vitivinicolo nel nostro Paese.

Il mercato interno affronta una lenta anche se ancora debole ripresa dei consumi mentre a mantenere una crescita costante e sostenuta é l’export, anche se condizionato e ridimensionato in parte da tensioni geopolitiche e commerciali.

Nel primo quadrimestre dell’anno in corso, rispetto allo stesso periodo del 2014, soffermandosi sull’andamento del mercato domestico, il 36,5% delle aziende intervistate ha registrato un volume d’affari in crescita, il 53,9% non ha  subito variazioni e il restante 10% tra le imprese interpellate registra un calo delle vendite. 

Tra i canali commerciali sempre più apprezzati dai produttori, vi é certamente la vendita diretta in cantina e sono 6 imprenditori su 10 ad esserne convinti.

Scarsa é invece la fiducia (e di conseguenza l’utilizzo) del canale E-commerce, con meno del 20% di cantine che esprimono un giudizio positivo e il 38,2% che invece fatica a raccogliere risultati da questo canale, anche per la mancanza di personale dedicato e per le difficoltà nel stabilire un giusto prezzo, tale da non pregiudicare il prezzo in store.

Per quanto riguarda i canali “classici” - HO.RE.CA. e Wine Bar - rimangono quelli preferiti e con una maggiore soddisfazione per il fatturato.

L’enoteca invece - a dimostrazione di un cambiamento paradigmatico delle modalità d’acquisto da parte del consumatore – perde il suo appeal, anche perché sempre di più si tende al coinvolgimento esperienziale del cliente.

Al contrario, l’export va e – secondo i dati Istat - cresce del 3,85% per un totale di oltre 1 miliardo di euro.

Dall’analisi infatti si evince come il 58,3% degli imprenditori ha dichiarato una crescita del fatturato imputabile al commercio estero rispetto allo stesso periodo del 2014, il 32% un fatturato stabile e solo il restante 9,7% ha registrato un calo. 

Tra le mete certe e profittevoli per le nostre esportazioni, una rimane inscalfibile, il mercato statunitense.

A parere del 76,2% degli intervistati, gli Stati Uniti sono tra i tre mercati - insieme a Canada e Regno Unito - ad offrire i tassi di crescita maggiori.

Confrontando infatti il dato globale delle importazioni di vino negli Stati Uniti, si registra un +23% del valore, collegato a un +2% dei volumi e le performance dei vini italiani sono superiori alla media del mercato, con una crescita nei volumi del 10% trainata dal Prosecco (+48% di maggiori quantità esportate).

Anche il mercato inglese si conferma dinamico e in crescita (+64% di quantità importate nel primo quadrimestre del 2015).

Un mercato ad alto potenziale ancora relativamente “vergine” per le nostre esportazioni é invece la Cina.

Le difficoltà non mancano, ma le nostre PMI aumentano le vendite (+21,8% del totale) a fronte di un aumento generale dell’import cinese in valore nei primi cinque mesi del 2015 (+51%) e in volume (+38%), rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Il nostro vino inizia ad essere sempre più apprezzato e sono molteplici i segnali che indicano la giusta direzione.

Esulando dai numeri, ad esempio, recentamente é stato siglato un accordo di cooperazione tra il Consorzio di tutela delle bollicine italiane e la scuola alberghiera governativa Shanghai Trade School.

L’intesa prevede l’inserimento del Prosecco Doc come materia di studio obbligatoria con un modulo che include lo studio del territorio di provenienza, i metodi di produzione, le tecniche di degustazione e lo studio degli abbinamenti del Prosecco Doc con i piatti della cucina cinese.

A dispetto delle aspettative invece sul fronte tedesco più di un terzo (34,7%) delle aziende vitivinicole hanno registrato una contrazione della domanda e solo un’azienda su 3 ha dichiarato un aumento delle vendite in Germania.

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A quasi un anno dall’introduzione delle sanzioni - il 7 agosto scorso - sono in costante sofferenza le importazioni dalla Russia.

I dati registrano un crollo degli acquisti di vino dall’estero in valore (oltre il 35%) e nelle quantità (25%) e la contrazione del valore delle nostre esportazioni é più o meno in linea con il dato generale (36%), comunque meno peggio della Francia (-45%).

Le ragioni di tale debacle, come spiega Denis Pantini, responsabile di “Wine Monitor” vanno ricercate innanzitutto nella:

“svalutazione del rublo conseguente al calo del prezzo del petrolio che ha messo in crisi gli importatori russi, essendo il petrolio una delle risorse principali del Paese.

Più che le sanzioni europee legate alla crisi russo-ucraina é stato il crollo dei prezzi dell’oro nero a ridurre la capacità di spesa dei russi. E questo stallo dell’economia e dei consumi di vini esteri rischia di durare ancora a lungo”.

Le stesse criticità si ritrovano infatti anche in paesi come Nuova Zelanda, Australia, Brasile, dove la svalutazione delle valute e la conseguente riduzione del potere d’acquisto favoriscono naturalmente i produttori domestici.

Per quanto riguarda la soddisfazione e l’efficacia dei canali di vendita all’estero, oltre metà degli imprenditori giudicano molto positivo il proprio rapporto con gli importatori, mentre divide quello con la GDO estera (positivo per il 47,3% ma allo stesso tempo particolarmente negativo per il 27,3%).  

In entrambi i casi, l’Osservatorio “Wine2Wine”, rileva:

C’é una correlazione diretta con la dimensione aziendale: le cantine con oltre 10 milioni di fatturato e 1 milione di bottiglie prodotte sono soddisfatte degli importatori nell’85% dei casi, percentuale che scende fino al 41,2% per le cantine che producono fino a 150mila bottiglie”.

Le prossime fiere di settore saranno un’utile occasione per cercare e trovare conferme, innanzitutto con i diversi appuntamenti internazionali di “Vinitaly”, in Cina a Shangai dal 18 al 20 settembre, a Hong Kong dal 5 al 7 novembre in contemporanea ad “International Wine & Spirit Fair” e in Russia il 16 novembre.

Bisogna certamente scegliere su cosa puntare e noi non possiamo non puntare sulla qualità, mentre ad esempio la Spagna spiega ancora Pantini, ha già scelto di puntare sui volumi di vendita: “anche in questo scorcio di 2015 si mette in luce con una crescita nei volumi esportati di vino sfuso pari al 19%, continuando parallelamente nella propria strategia di riduzione dei prezzi di vendita (-14% rispetto all’anno passato)”.

Gli stessi dati economici dimostrano una buona tenuta delle nostre esportazioni, e in particolare l’aumento del valore piuttosto che del volume, un segnale indicativo che deve far indirizzare le nostre aziende a scegliere come leva strategica la qualità e l’innovazione del prodotto, nonché una adeguadata promozione e comunicazione per meglio emergere e distinguersi nel difficile e competitivo mercato globale.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Annarita Summo,  redazione@exportiamo.it

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