Il rapporto I.T.A.L.I.A. – Geografie del nuovo made in Italy” di Fondazione Symbola, Unioncamere e Fondazione Edison, recentemente presentato a Treia nella sessione di apertura del XIII Seminario estivo di Symbola, nasce con l’intento di raccontare la parte del Paese che non ti aspetti, quella che stupisce e conquista prestigio, visibilità e credibilità.

Lo studio ha ricevuto anche il patrocinio dei ministeri degli Affari Esteri, delle Politiche Agricole, dei Beni Culturali, dell’Ambiente e di Expo Milano 2015 e vuole essere un viaggio tra i tanti talenti italiani, a volte sconosciuti. 

Dalle pagine del rapporto emerge un’Italia che sa essere innovativa, versatile, creativa, reattiva, competitiva e soprattutto vincente sui mercati globali.

A confermarlo sono i numeri perché nonostante i sette anni di crisi quasi 1.000 prodotti presentano un saldo commerciale attivo da record, un risultato che si spiega in ragione della scelta decisa di puntare sulla qualità come dimostra il fatto che l‘Italia - In compagnia di grandi potenze industriali come Cina, Germania, Giappone e Corea - é tra i 5 paesi al mondo a vantare un surplus manifatturiero superiore ai 100 miliardi di dollari.

E’ evidente quindi come cresca sempre di più la qualità riconosciuta alla nostra manifattura e non a caso dall’introduzione dell’euro ad oggi, l’Italia ha visto i valori medi unitari dei suoi prodotti salire del 39%, facendo meglio di Regno unito (36%) e Germania (23%).

Un sondaggio Ipsos ha certificato come, secondo i dati raccolti, l’80% degli statunitensi e dei cinesi riconosce nel “Made in Italy” un grande valore, essendo sinonimo – all’estero come in patria - di moda, artigianato, arredamento, design e cibo, e soprattutto di bellezza e qualità.

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Il rovescio della medaglia positivo si registra nel fatto che due italiani su tre sono disposti a pagare un sovrapprezzo per avere prodotti 100% italiani e grazie alla bellezza e alla qualità connaturata ai nostri prodotti, poi, l’Italia continua a produrre cose che piacciono al mondo e che sono sempre più desiderate sui mercati globali.

Anche sul web si riscontra l’accresciuto interesse come confermano i dati relativi alle ricerche su Google dei prodotti “Made in Italy”, cresciute dal 2011 al 2014 di ben il 22%, soprattutto in Paesi come Giappone, Emirati Arabi, Usa, Russia e Brasile:  le possibilità offerte dalle nuove tecnologie sono una risposta concreta, e già praticata da molte delle nostre imprese per aprirsi ai mercati globali e rispondere in maniera proattiva alla contrazione del mercato interno.

Al centro dell’analisi vi é la competitività del sistema produttivo italiano misurata non con parametri “tradizionali” come la quota di mercato detenuta sull’export mondiale, ma con un nuovo indicatore capace di cogliere e leggere in modo assai più fedele e puntuale quanto si muove nella nostra economia: la bilancia commerciale dei singoli prodotti

Immaginando il mercato globale come a un’olimpiade e i prodotti come discipline sportive in cui vince chi ha un export di gran lunga superiore all’import, l’Italia arriva a medaglia quasi mille volte e fanno meglio di noi solo Cina, Germania e Stati Uniti.

Ermete Realacci, Presidente della Fondazione Symbola non ha dubbi sull’Italia perché:

“Mentre la crisi sembra finalmente allentare la sua presa sul Paese, é ancora più importante avere un’idea di futuro, capire quale posto vogliamo che l’Italia occupi in un mondo che cambia. Più che in passato l’Italia deve fare l’Italia rispondendo ad una domanda che aumenta ed é confermata dai dati sull’innalzamento delle ricerche di made in Italy su Google e sul gradimento dei prodotti italiani in grandi paesi come Stati Uniti e Cina. E puntare sui talenti che il mondo le riconosce: bellezza, qualità, conoscenza, innovazione, territorio e coesione sociale che sempre più incrociano la frontiera della green economy. Talenti che ci consegnano le chiavi della contemporaneità e delle sfide del futuro perché assecondano la voglia crescente di sostenibilità dei consumatori e danno risposte ai grandi cambiamenti negli stili di vita e nei modelli di produzione”.

Ad emergere é dunque una capacità di reazione alla crisi delle nostre imprese straordinaria, se si tiene conto del sempre difficile contesto internazionale oltre che dei ritardi infrastrutturali, della pressione fiscale e delle criticità burocratiche che si soffrono alle nostre latitudini

La chiave di volta della resilienza del nostro sistema produttivo va cercata nella scelta di investire in qualità, sfruttando le leve dell’eco-innovazione, della cultura e del legame con i territori che sta premiando lo sforzo di molti imprenditori non solo nei settori tradizionali di specializzazione (meccanica, agroindustria, moda, turismo, ecc.), ma anche in settori all’avanguardia come aerospaziale, biotecnologie e robotica.

Il salto di qualità da fare oggi, come ricorda Claudio Gagliardi, Segretario generale di Unioncamere riguarda invece le competenze digitali perché:

“Ora però bisogna puntare con decisione sulle competenze digitali per riprogettare le strategie aziendali: passa anche da questa strada la ripresa dell’occupazione e la sostenibilità dello sviluppo del Paese”. 

Le eccellenze del “Made in Italy” vanno dunque oltre e le misure del Governo a sostegno dell’export, con risorse finalmente degne del nostro rango per le fiere di settore, per l’internazionalizzazione e l’attrazione degli investimenti esteri vanno certamente nella giusta direzione per stimolare ulteriori progressi dell’Italia sui mercati mondiali. 

Dando uno sguardo al “medagliere” delle eccellenze competitive italiane nel commercio con l’estero, si scopre come l’Italia può vantare un totale di 932 prodotti classificatisi primi, secondi o terzi al mondo per saldo commerciale attivo con l’estero.

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Nello specifico il nostro Paese vanta 235 prodotti medaglia d’oro a livello mondiale per saldo commerciale che ci fanno guadagnare 56 miliardi di dollari; 376 prodotti medaglia d’argento che fruttano 68 miliardi di dollari, mentre le medaglie di bronzo dell’export italiano sono 321 con un saldo commerciale complessivo di 53 miliardi.

Nell’insieme i nostri “campioni dell’export” fanno conquistare al Paese un surplus commerciale di 177 miliardi di dollari, mentre ci sono altri 500 prodotti in cui l’Italia é appena sotto il podio per saldo commerciale mondiale, che aggiungono alla nostra bilancia commerciale altri 40 miliardi di dollari.

Oltre ai numeri, sono significativi anche i settori che generano questo surplus.

La novità é anche nel fatto – come abbiamo visto – che la maggior parte delle nostre eccellenze manifatturiere non proviene solo da settori tradizionali, ma arriva dalla meccanica e dai mezzi di trasporto, dalle tecnologie del caldo e del freddo, dalle macchine per lavorare legno e pietre ornamentali, tubi e profilati cavi, dagli strumenti per la navigazione aerea e spaziale.  

Tra le medaglie d’oro emerge come 25,6 dei 56 miliardi di surplus generati provengono da beni del settore dell’automazione meccanica, della gomma e della plastica; altri 18,4 miliardi si devono ai beni dell’abbigliamento e della moda, 7,3 miliardi da beni alimentari e vini; 0,4 dai beni per la persona e la casa; mentre 4 miliardi derivano da altri prodotti, tra cui quelli dell’industria della carta, del vetro e della chimica. 

Analizzando nel dettaglio le medaglie d’argento hanno invece particolare rilevanza rubinetteria e valvolame (4,9 miliardi di dollari), vini e spumanti (4,5 miliardi di dollari), mobili in legno e parti di essi, lavori in ferro e acciaio, trattori agricoli, piastrelle e ceramiche per l’arredo, parti di turbine a gas,  macchine per riempire, imbottigliare ed etichettare, lavori in alluminio, parti di macchine e apparecchi meccanici, barche e panfili da diporto.

Tra le medaglie di bronzo vanno citati gli oggetti di gioielleria, le parti e gli accessori per trattori  e autoveicoli, piastrelle e lastre da pavimentazione o rivestimento, macchine e apparecchi meccanici, prodotti di materie plastiche, ingranaggi e ruote di frizione per macchine, pompe e compressori per aria, divani, poltrone, freni e servofreni, ponti con differenziale per autoveicoli, costruzioni di ghisa, ferro e acciaio.

Il turismo invece é più incerto come dato e si fa notare come non avremo mai un ritratto fedele delle performance del settore, fino a quando verrà usato come indicatore il numero di arrivi.

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Analizzando i pernottamenti - a fronte della sofferenza del mercato domestico - si evidenzia il primato italiano nell’Eurozona per pernottamenti di turisti extra UE con 56 milioni di notti all’attivo, nel 2013 l’Italia si é classificata prima nella zona euro per numero complessivo di pernottamenti di turisti extra-UE: nel Vecchio Continente siamo la meta preferita di americani, giapponesi, cinesi, australiani, canadesi, brasiliani, sudcoreani, turchi, ucraini e sudafricani, mentre il contributo diretto del turismo al nostro PIL nel 2014 é stato del 4,1%, per un valore di 66 miliardi di euro.

Il nostro agroalimentare invece rappresenta il comparto in cui la vocazione alla qualità é elevatissima con una capacità di creare valore aggiunto pari a quasi 2000 euro per ettaro ovvero più del doppio della media europea, il triplo del Regno Unito (614€/ha), il doppio di Spagna (906€/ha), e Germania (994€/ha), e il 60% in più dei cugini francesi (1.226€/ha).

L’Italia vanta il primato nell’UE per quanto riguarda il numero dei prodotti registrati e siamo il primo paese per numero di imprese biologiche (ben 44.000), dato che contribuisce a rendere l’agricoltura italiana tra le più sostenibili in Europa (35% in meno di emissioni di gas serra rispetto alla media Ue) e fra le più sicure con una quota di prodotti che presentano residui chimici inferiore di quasi 10 volte rispetto alla media europea: vanno cercate anche qui le ragioni che nel 2014 confermano il primato italiano in Europa, insieme alla Francia, per valore aggiunto (31,6 miliardi di euro).

Un’altra peculiarità ad emergere é legata invece alla produzione ed erogazione di servizi, dove é fondamentale il contributo della variegata galassia del terzo settore e infatti con il 9,7%, l’Italia é prima per quota di addetti del Terzo Settore sul totale dell’economia a livello europeo.

Queste realtà hanno anche una dimensione economica non indifferente, muovendo entrate per 64 miliardi di euro, equivalenti al 3,4% dell’economia nazionale, ricchezza che andrebbe rivalutata anche considerando il risparmio e il benessere sociale derivante dalle ore di lavoro messe gratuitamente a disposizione da  4,7 milioni di volontari.

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Questi risultati dimostrano come nel nostro paese sia sempre più realtà un modello che coglie quell’economia delle responsabilità, della sobrietà e della condivisione sempre più attuale.

Anche sul piano dell’innovazione e della sensibilità ambientale, si registra come, l’Italia sia quarta in Europa (e tra gli otto Paesi OCSE ad avere una spesa in ricerca e sviluppo superiore ai 20 miliardi di dollari), mentre l’Eurostat ha evidenziato nelle imprese italiane una spiccata propensione all’innovazione (42% di imprese innovatrici) che colloca l’Italia al di sopra della media UE (pari al 36%).

E’ da sottolineare come il nostro sistema produttivo, ha incorporato la green economy come un fattore competitivo e dall’inizio della crisi, oltre 340mila aziende (il 22% del totale) hanno investito in questo senso, con un dato superiore nell’industria manifatturiera(33%).

Queste sensibilità ci collocano ai vertici UE per eco-efficienza, con 104 tonnellate di CO2 ogni milione di euro prodotto (la Germania ne immette in atmosfera 143, il Regno Unito 130) e 41 di rifiuti (65 la Germania e il Regno Unito, 93 la Francia).

Anche nell’industria del riciclo il nostro paese primeggia e a fronte di un avvio a recupero industriale di 163 milioni di tonnellate di rifiuti su scala europea, nel nostro Paese ne sono stati recuperati 24,1 milioni, il valore assoluto più elevato tra tutti i paesi europei (in Germania 22,4 milioni).

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Infine un riferimento al sistema produttivo culturale e creativo dove oltre 443.000 imprese, rappresentano il 7,3% del totale delle attività economiche nazionali, dando lavoro a oltre 1,4 milioni di persone ovvero il 5,9% del totale degli occupati.

A livello economico invece il settore crea direttamente, 78,6 miliardi di euro di valore aggiunto, valore che sale fino ad 84 miliardi di euro circa (il 5,8% dell’economia nazionale) se includiamo anche istituzioni pubbliche e realtà del non profit attive nel settore della cultura capaci di attivare nel resto dell’economia altri 143 miliardi di euro per un totale di 227 miliardi, ovvero il 15,6% circa del totale, alla faccia di chi diceva qualche anno fa, in posizione di primaria responsabilità che: “con la cultura non si mangia”.

In generale emerge come ci sia ancora del lavoro da fare per rendere il nostro paese più “maturo” verso l’export, principalmente seguendo due direttrici: da una parte lo sviluppo di un sistema imprenditoriale orientato ad ampliare le partnership commerciali così da aumentare le esportazioni e dall’altra una maggiore qualità dei canali di vendita (promozione del prodotto, servizi complementari alla vendita) utile a rinforzare il carattere distintivo del Made in Italy.

A livello operativo risulta fondamentale rafforzare le relazioni orientate alla promozione dei prodotti italiani, soprattutto negli Stati dove ad ora risultano più critiche/deboli; semplificare e accelerare le reciproche procedure normative e burocratiche e disporre di un sistema finanziario in grado di seguire l’espansione delle imprese italiane all’estero.

Tutti temi “sul tavolo” con alcune iniziative promettenti pubbliche e private già avviate che tracciano il giusto percorso da seguire.

La costante é che il “Made in Italy” ha un valore capace di andare oltre, essendo in grado di coniugare da una parte concretezza e capacità produttive elevate e dall’altra un valore aggiunto immateriale di grande potenziale, asset quest’ultimo, non del tutto sfruttato dalle imprese italiane sui nuovi mercati ed in generale dall’Italia.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Antonio Passarelli, redazione@exportiamo.it

 

 

 

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