L’opinione pubblica nelle ultime ore é praticamente monopolizzata dalla rapida ed imprevedibile evoluzione che sta prendendo la situazione in Grecia dopo l’annuncio del premier Alexis Tsipras dell’interruzione delle trattative con le istituzioni comunitarie e dell’imminente referendum che si celebrerà domenica prossima, 5 luglio 2015.

Nel frattempo nella notte tra il 30 giugno e il 1 Luglio é scaduto il tempo per Atene per provvedere al pagamento del prestito di 1,6 miliardi al Fondo Monetario Internazionale (FMI), impegno disatteso, mentre nel paese si razionano i prelievi al bancomat.

Da oggi, 1 luglio, quindi inizia tecnicamente il default greco e si tratta del più ingente mai registrato nei confronti dell’istituzione guidata da Christine Lagarde, il creditore cui tutti i Paesi dedicano la massima attenzione perché dal mancato pagamento derivano conseguenze assai pesanti.

In primo luogo per Atene la perdita del diritto di accesso alle risorse FMI sarebbe immediata e se la situazione dovesse protrarsi, prima perderebbe il proprio diritto di voto all’interno dell’istituzione internazionale ed, infine, potrebbe addirittura essere espulsa.

Gli “strumenti tecnici” per concedere più tempo (fino a cinque anni) ad Atene per trovare le risorse per i pagamenti esistono, ma questo tipo di decisioni vengono prese solo in casi eccezionali, ovvero quando il rimborso al FMI creerebbe uno stato di “eccezionale privazione” per il debitore.

Questa fattispecie però é difficile da applicare alla Grecia perché non si tratta di un paese emergente o sottosviluppato ma in realtà di un membro dell’Unione europea che, almeno in teoria, dovrebbe rientrare nella categoria dei paesi avanzati.

Il Fondo che ha precisato in questi giorni di avere già mostrato una certa elasticità nei confronti degli ellenici concedendo prestiti ben al di sopra del normale tetto e di non avere alcuna intenzione di fare ulteriori strappi alle regola.

La situazione ci interessa da vicino perché il nostro paese é coinvolto in prima persona in questa situazione così ingarbugliata e infatti il giorno dell’annuncio dell’interruzione delle trattative, Piazza Affari ha perso oltre il 5% e lo spread é immediatamente aumentato del 29% da 123 a 159 punti base.

L’Italia é in effetti il terzo principale paese europeo creditore della Grecia dopo Germania e Francia.

Capire a quanto ammonti l’esposizione totale del nostro paese non é semplice e gli esperti parlano di una cifra che oscilla fra i 40 ed i 65 miliardi di euro se, ai prestiti bilaterali concessi da Roma (pari a circa 10 miliardi), si sommano anche le quote detenute dal nostro paese nei cosiddetti fondi salva-stati.

Il Ministro dell’Economia e delle Finanze Piercarlo Padoan ha tentato di rasserenare gli animi dichiarando che l’esposizione italiana é di 37,2 miliardi “10,2 miliardi di prestiti bilaterali e 27,2 miliardi di contributi al fondo salva-Stati“ e l’inquilino di via XX Settembre sostiene che “circolano dati sbagliati” e che comunque tutti le risorse in discussione, sono già a bilancio e dunque in caso di default greco non ci sarebbero effetti sul debito italiano.

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Sono in molti a sostenere però che il vero rischio per l’Italia sia quello del contagio che potrebbe far impennare i rendimenti dei nostri titoli di Stato.

A lanciare l’allarme recentemente é stata Moody’s, l’agenzia di rating ha evidenziato come “Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Cipro” abbiano bilanci deboli e siano dunque maggiormente esposti al rischio di “accesso ristretto ai mercati e costo più alto del finanziamento all’ingrosso”. In poche parole i suddetti paesi “sono ancora vulnerabili in caso di uscita della Grecia dall’euro”.

Per dare qualche numero, se la “Grexit” dovesse portare ad un aumento permanente dei rendimenti dei titoli di stato italiani pari a due punti percentuali, solo nei primi due anni, il costo sarebbe di ben 10 miliardi di euro.

Lo spauracchio dello spread, dunque, tornerebbe ad aleggiare sulla nostra economia proprio quando dei primi timidi segnali di ripresa iniziavano a manifestarsi.

Padoan però si dichiara fiducioso affermando che non si preoccuperebbe di un aumento della volatilità dello spread “perché la Bce ha tutti gli strumenti a disposizione per fronteggiarla”. E in ogni caso, se ci fosse un’evoluzione negativa della crisi greca “anche negli scenari peggiori é dubbio che vi sarebbero effetti diretti sul nostro paese e – comunque – la quantificazione dell’impatto diretto sull’Italia di un eventuale default greco non é praticabile con le informazioni attualmente disponibili”.

Il quadro però, nonostante le parole dell’ex economista dell’Ocse, sembra assai incerto e oggi il “rischio Grexit” esiste ed é concreto ed in questo senso se i cittadini ellenici si pronunciassero per il “NO” al progetto di accordo presentato da Commissione europea, Bce e Fmi nell’Eurogruppo del 25 giugno 2015 che verrà sottoposto a referendum domenica prossima, Atene, di fatto, si troverebbero con un piede fuori dall’Europa.

Al contrario una vittoria del “SI” porterebbe alle probabili dimissioni del premier Tsipras che ha dichiarato di “aver fatto quello che poteva” al tavolo delle trattative e che l’Europa “dovrebbe vergognarsi delle proposte fatte”.

Le richieste avanzate se approvate comporterebbero l’implementazione di una terapia d’urto per la Grecia che probabilmente finirebbe per essere letale per il “paziente” ellenico.

Quello che in molti sospettano é che da ambo le parti ci sia stata la volontà di arrivare al punto di rottura, anche per le profonde divergenze ideologiche sul tavolo negoziale.

In questa fase, per poter giungere ad un accordo, ambedue le parti devono essere disposte a fare delle concessioni e in queste ultime ore si sta provando a venirsi incontro anche se il “Nein” tedesco della Cancelliera Merkel ad ulteriori concessioni prima della consultazione referendaria, é sembrato abbastanza categorico.

Lo sforzo deve essere comune e se da un lato la Grecia deve impegnarsi a fare delle riforme vere (ad esempio la riforma pensionistica recentemente approvata che ha alzato l’età pensionabile a 67 anni in linea con la media europea in realtà contiene molte eccezioni tanto che é stato stimato che circa il 75% dei lavoratori greci va ancora in pensione a 61 anni); dall’altro l’Europa deve capire che l’austerità dura e pura rischia di essere controproducente e di impedire il rientro, almeno parziale, dei soldi prestati ad Atene.

Il vero rischio é quello di innescare un processo che potrebbe portare non poche turbolenze per le economie del vecchio continente e i cui effetti di medio-lungo periodo sarebbero del tutto aleatori e incerti, oltre a portare al fallimento pratico dell’idea di Europa.

L’UE sul palcoscenico della crisi greca, agli atti finali (e tragici?) potrebbe definitivamente indossare panni realmente politici, lasciando da parte i tecnocrati e proponendo soluzioni che riescano a guardare gli occhi le persone e non solo i numeri.

Ciò che é sotto gli occhi di tutti é il fatto che le evoluzioni sono repentine, così come le ricadute, tanto da non escludere il ritiro dello stesso referendum nei prossimi giorni, qualora la virtù e il buon senso riuscirebbero a imporsi ambo i lati.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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