Il negoziato sul Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP)tra Stati Uniti ed Unione Europea procede e se dovesse andare in porto porterebbe alla creazione della più grande area di libero scambio esistente al mondo che coinvolgerebbe 850 milioni di persone, il 45% del PIL globale e  1/3 degli scambi commerciali mondiali.

 

L’obiettivo del trattato é quello di integrare le due sponde dell’Atlantico a livello commerciale in una vasta gamma di settori, non solo agendo sulle barriere tariffarie e i dazi per la verità già molto contenuti, ma anche sulle barriere non tariffarie, le differenze in regolamenti tecnici, norme e procedure di omologazione, standard applicati ai prodotti, regole sanitarie e fitosanitarie che in Europa sono molto più restrittive che nel “Nuovo Mondo”.

 

Uno dei settori più delicati sui quali si sta discutendo é certamente il comparto agroalimentare.

 

In molti temono che il TTIP sia solo uno strumento per introdurre sui mercati europei alimenti OGM ma, a quanto pare, l’UE ha già chiarito che non rinuncerà al principio di precauzione che ha fin qui adottato.

 

Infatti in Europa se esiste il dubbio che un alimento possa rivelarsi nocivo per la salute del consumatore questo non viene commercializzato, mentre oltreoceano, ritengono sia necessario provare in modo inconfutabile la pericolosità di un prodotto prima di ritirarlo dal mercato: due approcci radicalmente diversi.

 

Se poi guardiamo ai dati provenienti dagli Stati Uniti che registrano come ogni anno un americano su 6 sia colpito da patologie causate da alimenti non sicuri, le preoccupazioni crescono.

 

I nodi sono molteplici e bisogna registrare che le trattative - malgrado lo sforzo di trasparenza fatto con la pubblicazione del mandato negoziale nel giugno 2014 all’inizio del Semestre di Presidenza italiano dell’UE - sono state fin adesso avvolte da un fitto alone di mistero e questo spaventa quella parte dell’opinione pubblica e della cittadinanza critica nei confronti della conclusione dell’accordo come ad esempio Slow Food, grande associazione internazionale no profit guidata da Carlo Petrini che ha dichiarato: “in questo momento in tutta Europa tante associazioni ed istituzioni temono la piega che sta prendendo il negoziato. In segreto si sta mettendo al centro di tutto una strada ampia di libero commercio che pensa solo ai fatturati”.

 

Di tutt’altro avviso é il Vice Ministro per lo Sviluppo Economico Carlo Calenda che dopo aver colto gli umori al recente G-7 in Germania, ha dichiarato “entro i primi mesi del 2016 (prima dello svolgimento delle elezioni in Usa, ndr) é realistico chiudere un accordo TTIP sostanzioso, che contempli tariffe, convergenza regolamentare, energia e qualcosa sulle indicazioni geografiche dei prodotti” e ha aggiunto - in riferimento ai benefici per il nostro paese e i nostri prodotti - come “il mercato americano potenziale per il ‘Made in Italy’ é enorme e questo si tradurrebbe in un aumento potenziale del PIL italiano dello 0,5%, un valore molto significativo”.

 

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La Commissione Europea stima che la conclusione di questo accordo faciliterebbe il già consistente flusso di investimenti fra Stati Uniti ed Unione Europea (ogni anno 312 miliardi arrivano in Europa e 159 miliardi viaggiano in direzione contraria) e l’accesso ai rispettivi mercati dei servizi e degli appalti pubblici.

 

Inoltre la Commissione prevede un incremento del PIL europeo annuo dello 0,4% fino al 2027 e dello 0,5% per il PIL americano.

 

E’ forse per questa ragione che anche il premier italiano Matteo Renzi ha definito l’accordo “vitale” e si augura che “il 2015 sia l’anno decisivo”, nella convinzione che ci sia la possibilità di aprire un nuovo gigantesco mercato per le piccole e medie imprese italiane che favorirebbe la ripresa economica ed occupazionale.

 

Gli scettici invece ricordano che già in passato le ottimistiche previsioni sui benefici del North American Free Trade Agreement (NAFTA) e del mercato unico europeo si scontrarono con una realtà delle cose, dei fatti e dei traffici molto meno rosea e il presidente di Federconsumatori, Rosario Trefiletti ad esempio pone l’attenzione sul fatto che un incremento di mezzo punto di PIL all’anno sia poca cosa e per questo motivo “forse il gioco non vale la candela”.

 

A dir la verità il nostro paese fa già ottimi affari con gli Stati Uniti esportando ogni anno circa 3 miliardi di euro di prodotti “Made in Italy” ed acquistando “solo” 800 milioni di euro di prodotti statunitensi ed un ulteriore incremento degli scambi commerciali sarebbe assolutamente auspicabile.

 

La firma del TTIP potrebbe rivelarsi un vero e proprio boomerang per il nostro paese se non si riuscissero ad includere all’interno del trattato forti e definite tutele atte a proteggere i nostri prodotti dal dilagante fenomeno “Italian sounding”, l’imitazione e la contraffazione di prodotti tipici nostrani, un fenomeno molto diffuso sul mercato statunitense e che vale quasi 20 miliardi di euro, ovvero un terzo del valore totale a livello mondiale (60 miliardi).

 

Gli Americani in effetti continuano a chiamare i loro prodotti con nomi simili ai nostri prodotti di eccellenza cercando di trarre in inganno i consumatori e con l’eventuale approvazione del TTIP c’é il rischio concreto che questi prodotti d’imitazione trovino vasti mercati nelle fasce di popolazione a minor reddito e in quei paesi europei con una tradizione alimentare meno sensibile come Germania, Gran Bretagna ed Olanda.

 

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Altro punto dirimente del negoziato é quello relativo alla clausola Investor to State Dispute Settlement (ISDS).

 

L’entrata in vigore di questa norma permetterebbe alle imprese private di contestare i provvedimenti, considerati discriminatori attuati dai singoli paesi portandoli di fronte ad una corte arbitrale. Ci sarebbe così il rischio che potenti multinazionali riuscirebbero a mettere all’angolo comuni, regioni o persino stati assumendo decine di avvocati specializzati in questo campo. L’UE potrebbe cercare di alleviare le conseguenze dell’eventuale approvazione di questa clausola facendo in modo che queste controversie vengano giudicate da una apposita corte pubblica piuttosto che da collegi arbitrali privati.

 

Obama come nel campo della politica estera (vedi Cuba e Iran) é molto determinato a portare avanti i negoziati anche a costo di spaccare il suo partito e trovare l’accordo con i repubblicani dal momento che non ha più nulla da perdere, in quanto a novembre scadrà il suo mandato presidenziale, senza poter ricandidarsi.

 

Il governo ed il parlamento italiano non avranno l’ultima parola sul TTIP perché il commercio estero é naturalmente una materia ad esclusiva competenza europea e quindi  la palla é nel campo dei parlamentari europei.

 

Gli equilibri politici attuali all’interno dell’Europarlamento sono molto fluidi e incerti perché se da un lato i popolari e i liberali sono a favore dell’accordo mentre sinistra radicale, destra nazionalista e verdi sono contrari e il vero ago della bilancia sono i socialisti che ancora non hanno raggiunto una sintesi all’interno del loro gruppo parlamentare, nel quale il PD, é il partito con il maggior numero di rappresentanti (31) dunque il segretario-premier Matteo Renzi potrà comunque esercitare una certa influenza nel processo di approvazione del trattato.

 

Viene naturale chiedersi se il recente feeling fra Obama e Renzi sia del tutto estraneo all’approvazione del TTIP o se piuttosto il 44° presidente Usa stia cercando una sponda nel governo italiano.

 

Comunque se il presidente degli Stati Uniti non ce la farà a trovare la quadra nei prossimi mesi e siglare l’accordo, i negoziati saranno ripresi dal suo successore e a quel punto il futuro del TTIP sarebbe più difficile da prevedere.

 

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

 

 

 

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