Come ogni anno la pubblicazione del Rapporto annuale ISTAT, presentato ieri a Roma, offre un’istantanea sul presente e sulle contingenze del Paese, cogliendo le trasformazioni intervenute nel recente passato e individuando le prospettive e le potenzialità di crescita del Paese per il futuro.

I dati di questa XXIII^ edizione ci mettono di fronte ad un Paese che - seppur con enormi difficoltà - sta provando a lasciarsi la crisi alle spalle, già a partire dagli ultimi mesi del 2014.

Dalla lettura del rapporto emergono però alcuni dati controversi.

Il potere d’acquisto rimane stabile, i consumi si confermano in lieve ripresa ma l’occupazione, anche se in crescita (88.000 nuovi occupati nel 2014 pari a +0,4%), non riesce a frenare due gravi problematiche a livello sociale, da un lato la disoccupazione giovanile cherimane altissima mentre si registra anche un boom per il fenomeno del part-time involontario.

Per quanto riguarda il Sud Italia invece, nessuna buona nuova: il ritardo ed il divario nei confronti del resto del paese continuano inesorabilmente ad aumentare.

La notizia dell’incremento di +0,3% del Pil nel primo trimestre del 2015 non appare dunque del tutto casuale.

L’istituto di statistica aveva certificato solo qualche giorno fa il più consistente incremento del PIL su base trimestrale da quattro anni a questa parte (2011) e questa crescita congiunturale é stata pari a quella tedesca, ma vale la metà di quella francese (+0,6%) e solo un terzo di quella spagnola (+0,9%).

A spingere il PIL é stato un aumento del valore aggiunto nei comparti dell’agricoltura e dell’industria, mentre il settore dei servizi é  rimasto stagnante.

I segnali ci sono quindi, ma non si può negare il fatto che siano deboli e non uniformi.

Per la prima volta dal 2008 il potere di acquisto delle famiglie si é stabilizzato, e i consumi sono cresciuti dello 0,3%.

D’altra parte però l’occupazione é tornata a salire ma solo per alcune specifiche categorie: i lavoratori over 50, gli stranieri e le donne.

Gli occupati inoltre aumentano solo in alcuni specifici comparti, con l’industria a fare la parte del leone (+61.000 posti di lavoro), mentre una contrazione si é registrata nell’edilizia e nel settore agricolo.

A preoccupare inoltre é l’allungamento dei tempi di ricerca di un nuovo lavoro che arrivano fino a due anni e la situazione drammatica in cui si trovano le generazioni più giovani.

Tra il 2008 e il 2014 sono spariti circa 2 milioni di lavoratori under 35 (-27,7%) facendo così crollare il tasso di occupazione relativo al 39,1% (-11,3%).

In più la crisi ha portato ad un ricorso sempre più capillare del lavoro part-time (784.000 unità, pari al 23,7%) arrivato a contare su un totale di ben 4 milioni di lavoratori.

E’ orma chiaro che nella maggior parte dei casi questo strumento non possa essere catalogato come forma di flessibilità, ma come forma di sottoccupazione ed in effetti é stato calcolato che quasi i 2/3 dei lavoratori part-time, lo sono in maniera involontaria.

La crescita si concentra come accennavamo al Centro e al Nord, mentre dal Mezzogiorno non arrivano segnali di ripresa.

I segnali positivi però tagliano completamente fuori il meridione dove i redditi sono sensibilmente più bassi (-18%) e questo non può che riflettersi sui consumi: le famiglie residenti al Sud spendono poco più del 70% della media nel resto del Paese ed oltre 1/4 della spesa nel Mezzogiorno é per i beni alimentari e di prima necessità.

Una certezza però rimane. Studiare, nonostante tutto, ha ancora il suo peso nella ricerca di un impiego e consente inoltre di beneficiare di salari più elevati.

I dati disegnano una situazione decisamente migliore per chi ha un livello d’istruzione più alto: infatti tra i laureati il tasso di occupazione si attesta al 75,5%, tra i diplomati il tasso scende al 62,2% per arrivare al 42% per i meno istruiti.

Anche l’export si conferma una certezza e, come nei tre anni precedenti, anche nel 2014 la domanda estera netta ha apportato un contributo positivo alla crescita del prodotto – pari a tre decimi di punto – grazie a una dinamica delle esportazioni di beni e servizi (+2,6%) superiore a quella delle importazioni (+1,8%) che però ha compensato solo parzialmente il contributo negativo della domanda interna - fanno notare dall’ISTAT - nel 2014 interamente imputabile al calo degli investimenti e al decumulo delle scorte.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

 

 

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