Lo sviluppo del settore primario é una delle grandi sfide che l’India può vincere senza il dispendio di troppe energie.
A pochi giorni dall’inizio della XXX^ edizione dell’AAHAR International Fair, la Fiera Internazionale per la Trasformazione Alimentare i cui numeri confermano anche quest’anno come il gigante indiano sia una calamita per gli investimenti esteri nel settore del food processing.
Dal 10 al 14 marzo, a Pragati Maidan in New Delhi, buyer, produttori, delegazioni commerciali, giornalisti, diplomatici e policy maker di oltre venticinque paesi saranno al centro di negoziati e protagonisti di possibili accordi per cogliere le opportunità offerte dall’industria alimentare in India.
L’evento é diviso in due sezioni separate, la prima, “Hospitality India”, si focalizza sull’esposizione di macchinari e arredamenti per il settore Horeca, mentre “Food India”, sarà dedicata propriamente a food & beverage e trasformazione alimentare.
È un’occasione da non perdere, per tutti.
È un’occasione per i produttori internazionali alla ricerca di materie prime e/o macchinari a prezzi vantaggiosi; é un’opportunità per le aziende che vogliono vendere i propri prodotti alimentari finiti; é un grande palcoscenico internazionale di networking per diplomazia e policy maker e infine, é certamente il trampolino di lancio perfetto per provare a sviluppare il proprio business nel settore food in India.
Nel 2013 il mercato indiano del food valeva 39 miliardi di dollari e a quanto pare nel 2018 la crescita attesa (+11%) sarà in grado di generare un volume d’affari pari a circa 65 miliardi di dollari.
Negli ultimi anni, l’industria della trasformazione alimentare in India ha raddoppiato il proprio volume ed é oggi il quinto segmento di mercato che contribuisce maggiormente alla crescita del PIL nel Paese.
Anche l’export dei prodotti agroalimentari é in evoluzione e ad esempio, solo tra aprile e maggio del 2014, secondo l’Agricultural and Processed Food Products Export Development Authority (APEDA), ha superato i 3 milioni di dollari.
Nel settore l’India non conosce rivali, collezionando medaglie e premi nella competizione internazionale dell’industria alimentare.
I numeri contano e stiamo parlando infatti del primo produttore al mondo di latte, con il maggior numero di capi di bestiame al mondo; del secondo produttore mondiale di frutta e verdura oltre ad essere tra i primi cinque produttori mondiali di riso, caffé , spezie e zucchero, con ben 184 milioni di ettari di terreni agrari.
Naturalmente le multinazionale del settore non stanno a guardare e stando ai dati del Dipartimento indiano delle politiche industriali e la promozione (DIPP), il Paese ha ricevuto dall’aprile 2008 a settembre 2014 un ammontare pari a 7 miliardi di dollari di investimenti diretti esteri. Nella top list naturalmente gli americani, seguiti dai paesi del Medio Oriente.
Tra le società che hanno maggiormente investito in questo settore, troviamo le più importanti catene di fast food e premium food ma anche la Johnson & Johnson (J&J) focalizzata sull’healtcare che ha investito 118 milioni di dollari per l’acquisizione di ORSL Jagdale Industries, per entrare nel settore degli energy drinks indiani e aprirsi al retail alimentare, visto l’enorme potenziale fiutato.
Naturalmente il Governo indiano fa la sua parte e le iniziative sono molteplici e mirano innanzitutto all’attrazione di capitali esteri ma anche a potenziare la produzione nazionale per favorire un aumento della quota destinata all’export come previsto dalla strategia del Ministero del Processo Alimentare Indiano.
All’interno dello Stato federale sono invece numerose le commissioni interstatali create per supportare i processi di produzione industriale e favorire lo sviluppo di cooperative e forme di associazionismo tra i produttori locali.
È nota la giusta rigidità europea sull’ingresso e l’invasione di prodotti alimentari provenienti da paesi terzi e forse non tutti i prodotti indiani saranno capaci di varcare le frontiere e arrivare sulle nostre tavole mentre già oggi i macchinari industriali, le spezie e le materie conquistano sempre di più i mercati di Asia e America.
Per le PMI diviene tutto più difficile naturalmente perché barriere e minacce non mancano: poche infrastrutture, supply-chain frammentata, elevati costi amministrativi, lunghi tempi burocratici, numerose licenze richieste, ostilità e difficoltà culturali.
Se si é realmente interessati a penetrare il mercato indiano le parole d’ordine devono essere necessariamente pianificazione e strategia. Bisogna puntare a una corretta definizione del posizionamento attraverso un marketing mix specifico ed é anche necessario dotarsi di una o più risorse presenti in loco in grado di seguire in prima persona lo sviluppo del business e la giusta direzione.
Il lieto rovescio della medaglia una volta raggiunta la meta é nelle enormi soddisfazioni che il mercato indiano può dare.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Jessica Orsini, redazione@exportiamo.it