“Forse la cosa migliore é trasferirti all’estero, almeno lì una possibilità di trovare un posto di lavoro dignitoso ancora c’é ”.

Per molti giovani laureati italiani questa é una frase che suona drammaticamente familiare.

L’ISTAT nel “Rapporto Annuale 2014 – La situazione del paese”, pubblicato lo scorso giugno, offre un’istantanea impietosa sulla situazione delle ragazze e dei ragazzi italiani: sono quasi 100.000 quelli che negli ultimi cinque anni hanno scelto di andare in cerca di fortuna all’estero.

Molti di questi giovani sono laureati evidentemente non disponibili ad accontentarsi di impieghi precari e sottopagati o di stage formativi non retribuiti e nel corso degli anni la situazione non accenna a migliorare.

Le nostre istituzioni appaiono distratte e incuranti dinanzi all’esodo di un patrimonio umano preziosissimo che dovrebbe rappresentare il futuro del nostro paese, proprio mentre il numero di ragazzi che scelgono di lasciare l’Italia é in costante crescita e nel 2012 – ad esempio - c’é stato un incremento del 36% rispetto all’anno precedente.

Sebbene il governo con il “Jobs Act” sia impegnato a legiferare sul tema del lavoro é ancora presto per esprimere un giudizio di merito su quanto fatto fino ad ora.

Proprio la scorsa settimana l’esecutivo ha approvato in via definitiva una serie di misure che riguardano il contratto a tutele crescenti, le nuove forme di ammortizzatori sociali e le discusse modifiche all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.

A queste seguiranno altre misure come l’eliminazione dei contratti co.co.pro, il demansionamento dei dipendenti in tutti i casi di riorganizzazione aziendale e provvedimenti in tema di maternità.

L’emergenza occupazione per i giovani italiani si fa sempre più grave e l’ISTAT a gennaio 2015 registra un tasso di disoccupazione giovanile (43,9%) da record: il valore più alto mai registrato, non solo dall’inizio delle rilevazioni mensili nel gennaio 2004, ma anche di quelle trimestrali iniziate nel lontano 1977.

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Ma cosa che si può fare? Innanzitutto cambiare prospettiva nell’analisi.

Sarebbe opportuno iniziare a riflettere su quello che un giovane laureato italiano é in grado di offrire sul mercato del lavoro una volta terminato il proprio ciclo di studi e provare a capire quali reali competenze abbia acquisito durante la sua carriera universitaria.

In molti casi i neolaureati italiani non hanno un’idea chiara e concreta di ciò che realmente significhi lavorare in un contesto coerente ai propri studi e alle proprie aspirazioni perché non hanno alle spalle alcuna esperienza pratica.

Le università italiane e alcune facoltà in particolar modo, sono probabilmente troppo concentrate sugli aspetti teorici delle materie oberando gli studenti con nozioni che – alla prova dei fatti - non saranno probabilmente spendibili.

A perderci naturalmente sono gli studenti italiani e per queste ragioni sarebbe importantissimo introdurre nelle università italiane - sin dal primo anno di studi - tirocini e stage obbligatori della durata di almeno 6 mesi che siano realmente parte integrante del percorso di studio individuale come già accade in molti paesi europei, dove infatti da anni rappresentano parte indispensabile della carriera universitaria.

L’altra sconfitta per i nostri giovani nasce dal fatto che l’istruzione a tutti i livelli continua incredibilmente a trascurare l’insegnamento delle lingue straniere o per lo meno non si vedono i risultati concreti delle azioni intraprese negli ultimi decenni.

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Il livello di conoscenza degli italiani delle lingue straniere - anche di chi ha completato un percorso di educazione superiore – é inferiore rispetto alla media europea e certamente questa é tra le ragioni più nobili che spinge parte dei giovani italiani a partire: imparare e padroneggiare una lingua allarga visioni, orizzonti e opportunità.

Leggendo i risultati dell’Indice di Conoscenza della Lingua Inglese (EF-EPI) stilato da EF -Education First  - organizzazione leader nel settore della formazione linguistica a livello mondiale - non c’é da rallegrarsi.

 

L’Italia - per conoscenza della lingua Inglese - si classifica al 32° posto sui 60 paesi presi in considerazione e rientra così nella categoria di paesi con un basso livello di conoscenza dell’inglese. In questa categoria troviamo quasi esclusivamente Paesi in Via di Sviluppo quali: Uruguay, Sri Lanka, Russia, Taiwan, China, Emirati Arabi Uniti, Costa Rica, Brasile, Peru, Messico, Turchia, Egitto ed Iran.

 

L‘Italia risulta essere quindi l’unico paese sviluppato, assieme alla Francia, ad avere un basso livello di conoscenza di Inglese.  

Con queste premesse far tornare a crescere il Paese e creare posti di lavoro sembra impresa ardua. Si potrebbe però cominciare a fornire ai nostri giovani strumenti e conoscenze più funzionali alla ricerca di un futuro impiego, rendendoli in questo modo più appetibili anche sul mercato del lavoro interno e stimolando quindi lo sviluppo di competenze reali e concrete effettivamente ricercate e spendibili.

L’amara riflessione é che la scelta di andare all’estero dovrebbe essere libera e non rappresentare - come oggi appare - l’unica chance o la carta della disperazione…

 

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

 

 

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