C’era una volta… il cinema italiano da esportazione. “C’era” perché oggi il cinema italiano é circoscritto entro i confini nazionali, salvo certamente rare eccezioni.
L’Oscar che l’anno scorso é andato a “La grande bellezza” del napoletano Paolo Sorrentino é stato una ventata d’aria fresca che non deve trarre in inganno. Prima dell’anno scorso l’ultima statuetta vinta da un film italiano risale al 1999 (anno de La vita é bella di Roberto Benigni). Il prossimo 22 febbraio al Dobly Theatre di Los Angeles si terrà l’87? edizione della Cerimonia degli Oscar e purtroppo per noi l’Italia non avrà alcun film a rappresentarla nella categoria di Miglior film straniero in quanto l’unica pellicola nostrana presa inizialmente in considerazione per una papabile candidatura, Il capitale umano di Paolo Virzì, é stata ben presto esclusa dalla short list dei candidati.

Pur correndo il rischio di essere patetici e melensi c’é da dire che sono, purtroppo, lontani i tempi in cui i grandi Registi del cinema italiano come Federico Fellini, Michelangelo Antonioni, Vittorio De Sica, Roberto Rossellini, Dino Risi, Mario Monicelli, Pietro Germi (e l’elenco é incompleto!) conquistavano le platee di tutto il mondo con i loro film.

Dagli anni quaranta agli anni settanta gli Oscar (che in verità non sono un dato affidabile per dimostrare la qualità di un film, ma lo sono sicuramente dal punto di vista mediatico) -  ma anche solo le nomination - di film italiani sono stati numerosissimi, e tanti sarebbero i titoli da citare. Giusto per ricordarne qualcuno: Ladri di biciclette, 8 e é, La dolce vita, I soliti ignoti, La battaglia di Algeri e tanti altri.

Il cinema italiano fino agli anni ’60 ha fatto scuola in tutto il mondo. I grandi registi hollywoodiani dell’epoca e di oggi, ma anche i registi della Nouvelle Vague francese, hanno sempre elogiato i Maestri del Belpaese sostenendo che sono da sempre stati fonte di grande ispirazione per il cinema di tutto il mondo. Dagli anni ottanta in poi il cinema italiano sembra essersi appannato e di conseguenza la presenza dei film italiani candidati all’Oscar e presenti nelle sale al di fuori dei confini nazionali si é irrimediabilmente ridotta.

Negli anni novanta ricordiamo Nuovo cinema paradiso di Giuseppe Tornatore, Mediterraneo di Gabriele Salvatores e L’Ultimo Imperatore di Bernardo Bertolucci che però si é affidato a mega-produzioni Hollywoodiane. C’é stato poi nel 1999 Roberto Benigni con La vita é bella, che ha incassato 229 Milioni di $ in tutto il mondo. E solo 15 anni dopo é arrivato Paolo Sorrentino. 

Le ragioni di tale inversione di tendenza possono essere molteplici.

Una ce l’ha spiegata qualche anno fa lo storico produttore Dino De Laurentiis, in un articolo del Sole 24 Ore, in cui sosteneva che parte del succitato declino derivasse dalla  legge Corona del 1965 la quale prevedeva che per definire un film “italiano”, e candidarlo quindi a ricevere finanziamenti pubblici, dovessero essere italiani il regista, la metà degli sceneggiatori, tre quarti degli attori e dei tecnici: «Una limitazione che ha tarpato le ali alle produzioni, alla creatività, alla libertà. E’ anche per questo motivo che me ne sono andato dall’Italia per lavorare in America» (giusto per citare un titolo: Hannibal di Ridley Scott).

C’é da dire inoltre che negli anni d’oro la maggior parte dei film d’autore venivano finanziati con gli incassi dei film di genere italiani che venivano venduti all’estero. Sono i famosi b-movies italiani – per anni bistrattati dalla critica ma da poco riportati in auge dall’americano Quentin Tarantino – di registi quali Umberto Lenzi, Enzo G. Castellari (autore di Quel maledetto treno blindato di cui ancora Tarantino dirigerà uno pseudo-remake con il suo Inglourious Basterds del 2009), Sergio Martino, Ruggero Deodato, Dario Argento, ma anche di Autori quali Mario Bava e Lucio Fulci. Registi i cui film venivano acquistati da molti Paesi in tutto il mondo (soprattutto negli Stati Uniti) generando grossi profitti per il mercato italiano e i cui proventi venivano poi reinvestiti per finanziare appunto le pellicole “d’autore”.
Ma con l’avvento di Berlusconi e di Mediaset molte cose cambiarono: il Cavaliere, infatti, mise sotto contratto la maggior parte dei registi di genere impiegandoli in svariate produzioni televisive.

Un recente studio dell’ANICA (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediali) ha messo in luce con dati numerici la bassa propensione all’Export del cinema italiano.
Nel periodo 2006-2010, il valore commerciale delle transazioni ammonta a a 45 milioni di euro, vale a dire circa il 7-8% dell’investimento dei privati nella produzione. Una percentuale che risulta essere molto bassa se messa a confronto con il mercato cinematografico di altri Paesi. Negli ultimi anni, a parte il già citato La grande bellezza, soltanto un altro film ha avuto riscontro positivo in termini di spettatori all’estero: Gomorra di Matteo Garrone (che é stato visto in 13 Paesi ed ha contato 1 milione e mezzo di spettatori) seguito - in verità a grande distanza - dal paradossalmente misconosciuto qui da noi  Pranzo di Ferragosto (opera primadi Gianni Di Gregorio)e Mine Vaganti di Ferzan ézpetek. Sono dati che dovrebbero in qualche modo indurre gli addetti ai lavori (ed anche le istituzioni!) a tentare di adottare interventi concreti per invertire la rotta e recuperare il gap competitivo con le altre cinematografie.

Riccardo Tozzi, Presidente della Sezione Produzione ANICA sostiene che: «Dai dati della ricerca emerge che attualmente il valore delle esportazioni copre grosso modo l’8% del costo complessivo dei nostri film. Se pensiamo che i francesi arrivano a una quota del 20% é necessario avviare un’azione forte, insieme alle istituzioni e agli esportatori, che permetta al cinema italiano di avvicinarsi ai valori della Francia, così come abbiamo fatto negli ultimi anni con la quota di mercato nazionale».


Nel gennaio 2013 si é registrato un timido tentativo da parte delle istituzioni: a Roma é stata presentata l’interessante analisi “Progetto di internazionalizzazione delle imprese dell’audiovisivo” - con il Contributo della Camera di Commercio di Roma - in cui si fotografa lo stato di crisi del settore dell’audiovisivo romano e italiano che, secondo l’Associazione, si dovrebbe rilanciare attraverso una serie di iniziative tra cui il calo dei prezzi dei biglietti e l’aumento delle co-produzioni. Ad ogni modo, molti sono i dubbi e le incertezze su una reale ripresa del cinema italiano. Le produzioni audiovisive dovrebbero puntare necessariamente ai mercati esteri. Le prospettive più interessanti – sostiene il succitato il rapporto - vengono in merito dall’Asia (soprattutto dall’India e dal Giappone: grandi “divoratori” di film italiani) e dai Paesi del Sud del Mediterraneo.

 

In realtà, in termini di Export, a rappresentare una autentica eccezione nell’ultimo anno é stato di nuovo Gomorra, stavolta però in format di serie televisiva – sempre basata sul  best-seller di Roberto Saviano – che é stata acquistata da 70 Paesi in tutto il mondo: probabile segno che le storie nostrane incentrate sulla malavita interessino molto gli altri Paesi!
Ma questo di Gomorra – La serie é un caso isolato e l’Oscar conquistato da Sorrentino non deve trarci in inganno: il cinema italiano sta arrancando! Nell’attesa ci godiamo la prossima serata degli Oscar con Polonia, Russia, Estonia, Argentina e Mauritiana che si contenderanno l’ambita statuetta di Miglior film straniero!

 

Fonte: a cura di Exportiamo, di Alessio Cacciapuoti, redazione@exportiamo.it

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