L’Italia non é un Paese per talenti e la fuga dei cervelli lo testimonia: siamo al cinquantacinquesimo posto per capacita di valorizzare i talenti e al cinquantanovesimo nella capacità di attirarli mentre recuperiamo nella formazione collocandoci complessivamente al 40^ posto, questo spiega il successo dei nostri “expat” fuori oltre a far crescere la frustrazione perché incapaci a valorizzare le capacità dei nostri talenti in Italia.
Questo é quanto emerge dal Global Talent Competitiveness Index elaborato dall’Insead, Adecco e Human Capital Institute di Singapore.
L’indice serve a misurare l’attrazione verso i talenti e quattordici tra i primi venti in classifica sono Paesi europei. L’Italia é preceduta dai competitor naturali europei ed extra-europei ma anche da paesi come Cile, Qatar e Arabia Saudita. L’analisi riguarda globalmente 93 Paesi e come abbiamo visto siamo più o meno a metà per capacità di coltivare, trattenere e attrarre talenti. Sul podio a primeggiare é la Svizzera seguita da Singapore e Lussemburgo, paesi e situazioni particolari seguono Stati Uniti, Canada, Svezia, Regno Unito mentre la Germania é quattordicesima e il Giappone ventesimo tra noi e loro si collocano invece Francia, Spagna e altri.
Nel 2014 gli italiani espatriati sono stimati in circa 93.000 un numero quantitativamente e qualitativamente diverso rispetto ai dati pre-crisi ma in linea con i dati degli ultimi anni
Il numero dei nostri connazionali che decidono di espatriare é triplicato negli ultimi anni e mentre in passato riguardava prevalentemente i giovani laureati, oggi oltre a loro, sono intere famiglie a trasferirsi all’estero alla ricerca di nuove opportunità professionali che l’Italia non é più in grado di offrire né ai genitori e né ai figli.
L’irreverisibilità della globalizzazione e l’emergere di opportunità in nuovi mercati interessa le persone così come le imprese e non sono solo le grandi multinazionali ma anche le PMI a spostare i propri dipendenti all’estero per periodi più o meno lunghi, sostenendo a volte anche costi significativi in base alla destinazione.
L’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero - A.I.R.E. é stata istituita con legge 27 ottobre 1988, n. 470 e contiene i dati dei cittadini italiani che risiedono all’estero per un periodo superiore ai dodici mesi.
L’iscrizione all’A.I.R.E. é un diritto-dovere del cittadino (art. 6 legge 470/1988) e costituisce il presupposto per usufruire di una serie di servizi forniti dalle Rappresentanze consolari all’estero, nonché per l’esercizio di importanti diritti, quali per esempio:
-la possibilità di votare per elezioni politiche e referendum per corrispondenza nel Paese di residenza, e per l’elezione dei rappresentanti italiani al Parlamento Europeo nei seggi istituiti dalla rete diplomatico-consolare nei Paesi appartenenti all’U.E.;
-la possibilità di ottenere il rilascio o rinnovo di documenti di identità e di viaggio, nonché certificazioni;
-la possibilità di rinnovare la patente di guida (solo in Paesi extra U.E.; per i dettagli consultate la sezione Autoveicoli - Patente di guida).
L’iscrizione all’A.I.R.E. é gratuita e può essere richiesta per posta oppure recandosi personalmente presso l’Ufficio diplomatico-consolare competente territorialmente e comporta l’immediata cancellazione dall’Anagrafe della Popolazione Residente - APR del comune italiano di provenienza e l’inserimento nei registri di iscrizione all’AIRE che sono tenuti dai singoli Comuni italiani e annotano il trasferimento dei cittadini già residenti presso quel Comune, e inviano i dati all’AIRE nazionale presso il Dipartimento per gli Affari Interni e territoriali del Ministero dell’Interno.
L’iscrizione all’A.I.R.E. comporta come abbiamo visto l’acquisizione, ma anche la perdita di alcuni diritti e interessa non solo i casi sopracitati ma anche i nostri concittadini nati all’estero e da sempre residenti al di fuori del territorio italiano e chi acquisisce la cittadinanza italiana all’estero.
Le conseguenze principali si riverberano particolarmente sul piano dell’assistenza sanitaria e a livello fiscale e di dichiarazione dei redditi.
Tornando ai nostri connazionali, secondo il recente report di InterNations “Expat Insider” su un campione di più di 14.000 espatriati in tutto il mondo, gli italiani che scappano all’estero risultano tra i più qualificati: più pratici con le lingue straniere e tendenzialmente anche più pagati dei colleghi internazionali.
Gli “expat tricolore” spiccano come propensi a viaggiare con una percentuale dell’83% che ha già vissuto fuori dall’Italia prima di stabilizzarsi sul nuovo paese di residenza mentre oltre due intervistati su tre si sono trasferiti altrove per uno stipendio superiore a quello che gli era stato offerto rispetto alle condizioni in casa.
Gli italiani che si trasferiscono nel mercato straniero brillano soprattutto per essere poliglotti e con curricula di tutto rispetto con alti livelli di specializzazione. L’82% degli intervistati padroneggia tre o più lingue internazionali, contro una media di poliglotti stranieri che si ferma al 61%. Come prevedibile tra le lingue più parlate inglese (99%), francese (53%), spagnolo (39%), tedesco (26%) e portoghese (11%).
Il 64% degli intervistati italiani é in possesso di una laurea magistrale o di un dottorato, contro il 51% della media globale; 6 professionisti su 10 lavorano come manager o dipendenti a tempo pieno in società internazionali si conta anche una buona quota di imprenditori (7%) e freelancer (6%) oltre che di “intern”, il 3% degli espatriati italiani, contro una media complessiva dell’1%.
La parità di genere é rispettata e gli italiani all’estero si spartiscono quasi per metà tra uomini e donne (52% e 48%), hanno meno di 40 anni di età di media (38,3) e i flussi sono stabili su mete note come Germania (12%), Svizzera (10%) e Regno Unito (6%). Naturalmente l’incentivo maggiore a lasciare il “BelPaese” é il reddito. Più di due terzi (68%) dichiarano infatti che il loro stipendio é superiore a quello che troverebbero tornando a casa.
Niente di nuovo e niente di non noto, gli ennesimi numeri che ricordano come il nostro Paese in questi ultimi decenni abbia praticamente annullato le prospettive di vita e di speranza per intere generazioni che sono state costrette ad espatriare non per necessità più che per ambizione.
“Il futuro non é più quello di una volta” campeggiava fino a qualche tempo fa questa scritta su un muro di S. Lorenzo a Roma ed é proprio così, l’Italia non ha saputo offrire un futuro ad intere generazioni e le opportunità sono mancate perché é mancata negli anni una riforma complessiva e lungimirante del Sistema Paese.
Il futuro cambia, l’Italia rimane il solito rebus nella speranza che qualcosa oltre agli schermi si muova.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Antonio Passarelli, redazione@exportiamo.it