Dopo anni di trattative é arrivato finalmente l’accordo fiscale tra Italia e Svizzera per facilitare la regolarizzazione dei capitali ancora rintanati nelle banche elvetiche.          

Manca la firma tra i due ministri delle finanze, ma arriverà a breve, entro metà febbraio come ha rassicurato “il negoziatore” Vieri Ceriani, Consigliere Fiscale del Ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan e comunque prima della scadenza per la “voluntary disclosure” introdotta insieme al reato di autoriciclaggio nel nostro ordinamento dalla nuova legge 186/2014 sul rimpatrio dei capitali approvata a dicembre dal Parlamento Italiano.

In concreto l’accordo modifica il Trattato tra Italia e Svizzera sulle doppie imposizioni, con la revisione dell’’articolo sullo scambio di informazioni e si inserisce in un contesto generale internazionale di adesione della Svizzera allo scambio automatico di informazioni sulla base degli standard OCSE previsto dal G20.

 

La Svizzera aveva detto addio al segreto bancario nel maggio scorso quando le autorità elvetiche firmando l’accordo con i 34 Paesi OCSE e altri 13 stati, tra cui Singapore, Cina, Brasile, Costa Rica e Liechtenstein, ha accettato lo scambio automatico di informazioni finanziarie su base annua tra i governi.

Con la firma dell’accordo con l’Italia, le informazioni a disposizione saranno più dettagliate e più ampie sulle singole persone e non si limiteranno alla sola natura finanziaria, un deciso passo avanti per l’affermazione di trasparenza ed equità. Il fisco italiano potrà accedere ai dati dal 2015 in poi, ma dal 2020 potrà svolgere indagini sui cinque anni precedenti, come già previsto dalle regole italiane. 

E così se fino ad oggi per ottenerle erano necessari un procedimento penale e una richiesta di rogatoria internazionale da parte di una Procura della Repubblica, il nuovo quadro permetterà all’Agenzia delle Entrate verifiche mirate anche sull’affidabilità delle informazioni di chi ha aderito alla “voluntary disclosure” che prevede il raddoppio delle sanzioni e dei termini di accertamento per chi regolarizza capitali da paesi in “black list”.

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La Svizzera con il nuovo accordo verrà considerata come se fosse in “white list” OCSE a fiscalità ordinaria e i contribuenti italiani con capitali non dichiarati e custoditi in conti in Svizzera, che volessero aderire non saranno penalizzati. In realtà formalmente lo sarà solo dopo la ratifica del nuovo trattato sulla doppia imposizione da parte dei parlamenti dei due paesi.

La “voluntary disclosure” non é anonima e non prevede il rientro dei capitali dall’estero ma la loro regolarizzazione per evitare conseguenze penali successive e in merito ha tenuto a precisare sempre Ceriani:

“Non é un condono, non ha niente a che vedere con gli scudi fiscali del passato. Si tratta di un atto spontaneo di chi vuole mettersi in regola pagando le imposte con sanzioni ridotte. I rischi sono fortissimi oggi per gli evasori perché se in passato nessuno aveva dubbi sul segreto bancario ora, con l’azione del G20 sulla cooperazione in materia fiscale, il mondo é cambiato ”.

Tornando all’accordo, in realtà la formalizzazione per ora é limitata al solo scambio di informazioni mentre le altre “criticità” verranno affrontate sulla base di un accordo politico per i futuri negoziati con l’obiettivo comune di rendere efficace l’intero pacchetto di misure al più tardi nel 2017.

Con la “voluntary disclosure” fonti governative citate dal Sole 24 Ore hanno fatto trapelare che lo Stato si aspetta di incassare tra 5,5 - 6,5 miliardi di euro.

 

In concreto - com’é opinione condivisa da parte dei professionisti dei maggiori studi legali e tributari – tutto dipende da quanti vi aderiranno e molto dipende dai costi variabili per l’evasore. In alcuni casi, può essere più conveniente degli scudi fiscali; in altri casi si può arrivare a versare invece anche il 70% degli attivi non dichiarati. Sicuramente il franco più forte dovrebbe rendere più vantaggioso il rimpatrio dei capitali nascosti nelle banche svizzere.

 

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Il valore dei depositi intestati a italiani aperti presso gli istituti elvetici é  stimato in non meno di 130 miliardi di euro da parte delle nostre autorità e un po’ meno, 100 miliardi, secondo gli svizzeri.

Il Fatto Quotidiano ha fatto notare come sono in Svizzera anche i soldi sequestrati ai Riva (1,2 miliardi) che l’ultimo decreto salva-Ilva prevede a disposizione del commissario dell’amministrazione straordinaria per risanare il siderurgico. 

Bisognerà seguire le evoluzioni nei prossimi mesi, restano ancora sul tavolo altre questioni importanti.

Tra queste sta molto a cuore agli elvetici, l’autorizzazione per le banche svizzere a operare in Italia. Gli elvetici spingono per un ingresso contestuale mentre l’Italia, anche su pressione degli Istituti nazionali, ha interesse e intenzione a subordinare il tutto all’approvazione di un Accordo Quadro con l’Unione Europea. Alla fine la questione dovrebbe essere risolta pragmaticamente cercando di sfruttare gli spazi di autonomia amministrativa concessi agli Stati membri per agevolare l’ingresso di operatori stranieri e la decisione finale spetterà comunque alla Banca d’Italia e alla Consob.

Per quanto riguarda invece il trattamento fiscale degli oltre 60.000 lavoratori frontalieri, si pensa di intervenire attraverso uno splitting fiscale rivisto e corretto che li porterà a pagare il 60% delle tasse in Svizzera e il 40% in Italia.

All’inizio il fisco italiano imporrà loro la stessa aliquota che pagavano nella federazione, per poi adeguarla lentamente al regime fiscale italiano. L’adeguamento potrebbe richiedere diversi anni. Altra importante novità é l’eliminazione degli storni da Berna a Roma perché sarà il frontaliero a dichiarare il suo intero reddito all’Agenzia delle entrate, che poi provvederà a dedurre il 60% di imposizione dovuta al fisco elvetico mentre sarà lo Stato centrale versare i ristorni e l’Irpef ai Comuni italiani di residenza. 

Per quanto riguarda invece lo Status fiscale di Campione d’Italia, la contesa é tra l’altro sui conti correnti dei suoi 3.000 abitanti nelle banche elvetiche, tassati all’origine e quindi da escludere dall’accordo. E’ lo stesso Comunicato Stampa del Ministero dell’Economia e delle Finanze a chiarire che: “le autorità competenti proseguiranno a breve termine le discussioni finalizzate alla ricerca di soluzioni pragmatiche per singoli aspetti legati all’imposizione indiretta, mentre a più lungo termine verranno ricercate le soluzioni concernenti le altre questioni fiscali e non fiscali dell’enclave.”

In conclusione, senza dubbio si tratta di un accordo epocale che porta con se nuovi strumenti di contrasto dell’evasione fiscale, impensabili fino a qualche anno fa: un punto di arrivo ma anche un punto di partenza.

E’ sicuramente ancora tanto il lavoro da fare e la “la ricerca di soluzioni pragmatiche” sarà indispensabile e le casse dell’erario italiano (si spera) ne gioiranno.

 

In teoria a perdere sono gli evasori, in teoria perché naturalmente non mancano altri paradisi fiscali e sono in tanti a sostenere che buona parte dei capitali “a rischio fisco” in realtà abbiano già da tempo lasciato la Confederazione, forse proprio perché sulla questione si é parlato troppo e agito poco, finora.

 

Fonte: a cura di Exportiamo, di Antonio Passarelli, redazione@exportiamo.it

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